L’articolato e complice rapporto tra musica e territorio

Musica e territorio – un binomio complesso e articolato, difficile da decifrare ponendosi in un’ottica superficiale. Per centrare prontamente la problematica bisognerebbe ripartire da una rivalutazione della materia musicale come elemento di carattere squisitamente culturale. La potenza della mistione suono/testo ha mostrato, nel corso degli anni, la capacità di avere una forza comunicativa talvolta più forte delle stesse immagini, eppure pochi passi sono stati mossi a tutela di questa forma artistica: ascoltare un disco, studiarne la genesi, carpirne i significati ha la stessa valenza immaginifica che deriva dalla lettura di un buon libro. La musica apre orizzonti inaspettati e, come vedremo durante questo percorso, ha la capacità di caratterizzare o distorcere anche paesaggi fisici e metafisici.

Musica e territorio, dunque, due facce della stessa medaglia ma troppo spesso in antitesi. A lungo si è discusso e a nostra volta cercheremo di analizzare con cognizione critica le cause che hanno portato a un’alta proposta musicale (anche a livello regionale) e spazi sempre meno accessibili e disposti a investire in questo settore: l’assenza di strutture adibite alla musica live è un nodo fondamentale che pare esser sempre più lontano dalla risoluzione. Inevitabile, inoltre, in tutto questo marasma, mettere a punto una distinzione semplice, ma sostanziale quando parliamo di musica, ovvero quella che intercorre tra Musica come intrattenimento e Musica come arricchimento socio-culturale. Anche su questa disamina si potrebbe dibattere a lungo, consapevoli di non trovare mai pareri concordi: la realtà è che il mercato discografico mainstream che, per intenderci, è quello che ancora può parlare di profitti concreti, ha creato un progressivo imbarbarimento della musica nostrana a danno di un substrato minore (noto come indipendente) che attraverso la strada dell’autoproduzione ha saputo trovare nuove e interessanti forme espressive. Il territorio campano è ricco di queste testimonianze e incredibilmente offre all’ascoltatore uno spettro sonoro assai variegato: dall’hip-hop all’elettronica sperimentale passando per forme alternative di cantautorato fino alla ruvidezza del garage, del post-punk senza tralasciare esperimenti prog e avant-pop. Ecco, dunque, che è naturale ritornare sul discorso di “territorialità musicale” e sulla connotazione degli spazi.

Di recente i media hanno riproposto un video del benamato Pino Daniele che rende alla perfezione il concetto di musica e territorio: il giornalista che lo sta intervistando cerca di fare un cappello all’esibizione del giovane artista partenopeo (siamo agli inizi della carriera), all’epoca ancora poco noto, chiedendogli cosa da lì a poco avrebbe proposto e lui, con la semplicità di uno scugnizzo, taglia corto dicendo: «A’ musica nostra». Ecco, dunque, il senso di questa nostra ricerca: arrivare a capire da dove arriva e dove va a’ musica nostra per coglierne anche le sfumature sociologiche che si celano dietro apparenti piccole produzioni ma che sono testimonianze sanguigne di un territorio che non vuole cedere il passo all’apatia culturale e che va oltre la logica dei consumi (musicali) di massa.

Ancora una volta a venirci in aiuto è l’analisi profetica di Pier Paolo Pasolini sulla società moderna, illusa da una libertà di scelta che di fatto non esiste e che è assoggettata alle indicazioni pervenute dalla massa. Così, d’altronde, ne cantava anche il paroliere Gaber: “La massa è passiva, ingurgita il senso, distrugge il sociale”. Come fare allora a rifuggire il torpore? Non esistono scorciatoie quando parliamo di “ricerca”, che sia essa culturale o introspettiva. Non si può e non bisogna far finta che realtà poco visibili non esistano. Dobbiamo portarle alla luce con occhi accorti e lungimiranti, farle emergere, uscire allo scoperto, metterle a disposizione di un gruppo sensibile che non sia massa passiva ma forza attiva del processo culturale. Un processo dove la Musica può sicuramente dire la sua, conferendo all’ascoltatore una serie di direttive che non hanno nulla da invidiare alla poesia, alla letteratura, alla prosa, al teatro, al cinema.

A pensarci bene forse proprio la musica si offre come trait d’union tra tutte queste forze in campo. In un rincorrersi di citazioni concentriche, svariati testi musicali che hanno fatto storia scavano a piene mani nel repertorio poetico/letterario e ci si scopre sorpresi nel leggere un libro “musicato” da un’artista americano: esempio lampante è l’album dell’artista del New Jersey – Bruce Springsteen, che nell’album del 1995 “The Ghost of Tom Joad” scaraventa l’ascoltatore nell’America del secondo conflitto mondiale, mostrando attraverso gli occhi degli immigrati messicani il difficile rapporto con l’illusoria “terra delle opportunità”. L’ispirazione, neanche a dirlo, arrivò all’artista dopo esser stato rapito dalla scrittura caustica di John Steinbeck e del suo celebre “Grapes of Wrath” (Furore) e, dopo essermi personalmente calato in quelle atmosfere romanzate, ecco che ho rivissuto sulle note di un’armonica a bocca le atmosfere di speranza e poi progressiva disillusione di uomini comuni improvvisamente ritrovatisi “senza casa, lavoro, pace e riposo” (“No home, no job, no peace, no rest”). Quello di Springsteen è solo uno dei tanti esempi in cui diverse forme artistiche entrano in rotta di collisione. Infiniti anche i casi italiani, basti pensare al solo contributo alla musica nostrana di Fabrizio De André. Quello che conta è essere predisposti all’ascolto, avere fame di conoscenza o più semplicemente essere curiosi.

Carmine Vitale

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