La mia vita in giro per il mondo: «Lavoro? In Italia poche possibilità!»

Partiamo dalle presentazioni di rito e soprattutto dalla classica domanda: come sei approdato all’estero, è stata una scelta o una necessità?

«Dopo il diploma di geometra ho studiato dietologia all’università; ho sempre coltivato le mie passioni e ancora adesso ho tanti interessi: in primis la fotografia, ma anche la musica e lo sport; eppure, già subito dopo gli studi mi sono reso conto che l’unico lavoro che avrei potuto fare con passione e con interesse era quello dello “sviluppatore software”. Ho cercato e trovato lavoro in Italia, ma sempre con contratti a termine che non mi davano l’affidabilità, la tranquillità che cercavo. L’ultimo contratto di lavoro che ho avuto in Italia con un’importante società mi ha segnato profondamente: il giorno 27 dicembre fui chiamato in ufficio e avvisato che al 31 dicembre, scadenza di contratto, non mi avrebbero più richiamato. In Italia quando perdi il lavoro ti si apre un vortice di disperazione sotto i piedi, perché sai che difficilmente ne troverai un altro! Queste situazioni mi hanno sempre indotto a pensare di voler trovare lavoro all’estero. Quindi, sì, da un lato si è trattato di una necessità, ma anche di una scelta voluta e consapevole. Quello che mi attraeva era la prospettiva di trovare un lavoro di buon livello, perché magari cercando con assiduità, e soprattutto accontentandomi, sarei riuscito a trovare una proposta di lavoro anche in Italia, ma io non volevo accontentarmi. Ho cercato di mettere da parte un po’ di soldi, il minimo per sopravvivere all’estero finché non avessi trovato lì lavoro».

Sei partito quindi un po’ all’avventura, in base a quali criteri hai scelto il paese di destinazione?

«Ho scelto un paese, dell’Europa, in cui non ci fosse l’euro! Ero attratto anche dalla Repubblica Ceca, che ho anche visitato, ma poi il discrimine è stato il livello retributivo medio: nella Repubblica Ceca gli stipendi mediamente sono in linea con quelli italiani, se non addirittura più bassi. Per questo motivo la scelta è dunque ricaduta sull’Inghilterra, i cui stipendi sono di gran lunga più alti rispetto a quelli italiani. Inoltre avevo il cruccio dell’inglese, una lingua che ho sempre desiderato parlare correntemente. In effetti il primo ostacolo è stato la lingua: ho frequentato un corso per impararla e ho studiato tanto, anche perché vi è una differenza abissale tra l’inglese che studiamo a scuola e parliamo in Italia rispetto all’inglese corrente parlato dal popolo inglese! Sì, sono partito un po’ all’avventura, ma con la consapevolezza che non sarei tornato indietro, con la caparbietà di riuscire nel mio intento. Mi ero ripromesso di fare qualsiasi lavoro, anche il più umile, pur di realizzarmi e aspettare l’occasione che mi avrebbe cambiato la vita. In realtà sono stato fortunato perché dopo due settimane ho inviato il primo curriculum e dopo solo tre settimane già lavoravo come sviluppatore software. Un lavoro che poi mi sono preso il lusso di lasciare perché ho ricevuto successivamente proposte migliori! Ripensandoci ora, a distanza di anni, devo dire che c’è stata da parte mia una discreta dose di incoscienza, ma perché ho creduto fortemente in me, con tutto me stesso: ero certo di avere doti, nel mio lavoro, che purtroppo non venivano valorizzate dal mercato del lavoro così come strutturato in Italia».

A parte la difficoltà della lingua, ti sei ambientato facilmente oppure hai vissuto difficoltà per il fatto di essere straniero e in particolare italiano?

«Assolutamente nessuna difficoltà, anzi devo dire che, per le esperienze che ho vissuto io, gli italiani all’estero godono di una ottima considerazione. Gli italiani sono ben visti, vi è sempre la consapevolezza che riescono a fare la differenza, ciascuno nei loro campi di competenza. Del resto è così: gli italiani, in linea generale, hanno la capacità di riuscire in cose in cui gli altri non riescono; sarà dovuto al fatto che noi abbiamo nel DNA l’arte di arrangiarci! Riusciamo sempre a trovare velocemente una soluzione anche nelle difficoltà, nelle situazioni inattese e che vanno gestite con una certa urgenza. Penso, per spiegarmi con una simbologia scherzosa, alla inefficienza cronica dei trasporti pubblici nel sud Italia: il lavoratore italiano al mattino, appena realizza che il bus è in ritardo sulla tabella di marcia, si industria subito per trovare un mezzo alternativo per arrivare al lavoro, magari con un ritardo accettabile; un lavoratore inglese certamente resterebbe ore ad aspettare lo stesso bus! Fatto sta che io, proprio perché italiano, ho avuto facilmente il visto per andare in Cina, dove l’azienda per cui lavoro ha una filiale, e anche lì sono stato subito ben apprezzato. Stessa cosa dicasi per Singapore o per la Thailandia».

Tra Cina, Inghilterra e Italia, qual è la prima caratteristica positiva che ti viene in mente, che ti attrae di più?

«Dell’Italia adoro il clima, almeno quello del nostro meraviglioso Sud. Potrei dire il cibo, il made in Italy, ma quello lo trovi. Ma il sole, il cielo azzurro, terso, del Sud Italia, quello non lo vedi in Inghilterra e nello specifico a Londra dove vivo, né tantomeno in Cina. Dell’Inghilterra non posso non essere affascinato dall’opportunità. In Inghilterra puoi vivere ancora il sogno americano dei nostri antenati. Qualsiasi cosa tu voglia fare riesci a realizzarla. In Inghilterra non lavora solo chi non vuole lavorare. Ma soprattutto il lavoro ti appaga: gli stipendi sono di un certo livello, è prevista una revisione annua, e quindi un aumento automatico in base alle capacità produttive del singolo lavoratore. Ti senti apprezzato. Vivi inoltre la tranquillità emotiva perché se pure vuoi o sei costretto a cambiare lavoro, sai di poterlo trovare facilmente, non vivi nell’insicurezza del precariato. In quanto alla Cina, è strabiliante per la crescita economica che sta vivendo, una crescita talmente esagerata che si fa fatica perfino a fornire gli strumenti informatici adeguati alle loro costantemente mutevoli necessità: anche da questo punto di vista vi è un’evoluzione continua. Quello che invece mi colpisce visivamente della Cina è l’ordine. Lavoro in un grattacielo di 26 piani, quindi affollatissimo eppure quando vado in mensa non vi è mai confusione, ma sempre e solo file ordinate e disciplinate. Davanti alle vetrine dei negozi con offerte speciali talvolta si formano file anche di chilometri, ma pur sempre con un ordine che denota una capacità organizzativa del popolo cinese che è invidiabile e che fa scuola a noi occidentali».

Una caratteristica negativa, invece, di ciascuno dei tre Paesi?

«Della Cina sicuramente l’inquinamento. È talmente elevato il livello di smog che si vive con una coltre perenne di fumo: il cielo è una volta cupa, solo lungo la Grande Muraglia Cinese e quindi lontano da Pechino, sono riuscito a scorgere l’azzurro del cielo. La maggior parte della popolazione ha sempre una tosse stizzosa da smog. Capita anche a me, quando sono lì, di avere spesso la gola secca e irritata, e non nascondo che le prime volte questa situazione mi intimoriva! Credo che solo quando la popolazione comincerà a prendere coscienza del problema ambientale allora si evolverà anche il sistema economico del paese, che per ora, a dispetto di qualsiasi valutazione di impatto ambientale, è votato solo ed esclusivamente alla crescita, con un ritmo esponenziale e quasi caotico! Dell’Inghilterra l’aspetto più triste è il clima, il proverbiale clima grigio e umido inglese che mette una strana cupidigia. Gli inverni londinesi sono davvero duri per me che sono abituato al sole tiepido, o quanto meno alla luce dei suoi raggi anche in inverno. Dell’Italia, e lo dico con rammarico, detesto l’aria di negatività che si respira: appena arrivo in Italia, già nei discorsi al bar dell’aeroporto, si sente parlare di crisi, della mancanza di lavoro, dell’assenza di prospettive per i giovani, della disperazione degli adulti esodati. Non voglio sminuire i problemi che sta vivendo l’Italia tutta, ma sono tristemente convinto che questa mentalità pessimista nasce da anni di politica di governo inadeguata e miope».

Vuoi tornare stabilmente in Italia?

«In Italia ho le mie radici, la mia famiglia, i miei affetti più cari. Vengo in Italia una volta al mese e ne apprezzo il sole, i paesaggi mozzafiato della nostra Costiera, dei nostri bei paesini, le bellezze artistiche e naturali che restano uniche e inimitabili. Ma l’Italia purtroppo non riuscirebbe a darmi le opportunità di realizzazione e di gratificazione sociale che pretendo, perché sento di meritare. Tornerei stabilmente in Italia volentieri, ma solo nel momento in cui mi darebbe l’opportunità di poter cambiare lavoro quando voglio, anche ogni settimana, così come accade adesso a Londra. Tra l’altro ho di recente avviato a Londra un’attività in proprio come fotografo. È un progetto nel quale nutro molte speranze, voglio portarlo avanti. Sono riuscito a fare di una mia grande passione un lavoro! Lo dico con rammarico, ma non credo che in Italia potrei avere questa possibilità! Conosco tante persone che, una volta fatta l’esperienza all’estero, sono tornate in Italia appena ne hanno avuto la possibilità, magari perché non sono riusciti a integrarsi nel tessuto sociale. Io forse sono stato fortunato, o forse l’ho desiderato più degli altri, ma qui a Londra mi sento veramente felice, appagato, realizzato, il che mi dà la forza per superare la nostalgia per gli affetti lontani e anche la malinconia per la mancanza del caro sole mediterraneo!».

Cosa diresti a chi è tentato di provare la tua stessa strada?

«Chiaramente gli direi: osa, fallo, prova! Io penso che una persona per poter scegliere deve poter valutare più alternative e analizzarne costi e benefici. Agli italiani come me, in generale, mi sento di dire: non temete il cambiamento!».

Marcella De Angelis

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