Pensieri contemporanei: intervista a Denis Nesci

Partendo dai dati sull’astensionismo elettorale, e in particolare sul crollo diffuso del numero dei votanti tra 1° e 2° turno delle ultime consultazioni, si può affermare che la partecipazione politica “affascina” sempre meno?

«Certamente non si può affermare il contrario, la politica in questo momento è distante dai problemi che la gente percepisce come necessità primaria; a livello locale, probabilmente, l’offerta che viene posta agli elettori non soddisfa le loro esigenze. Penso che la classe dirigente – che fino a ieri ha amministrato – non ha dato i risultati sperati. Un esempio su tutti: i fondi europei, che sono stati scarsamente utilizzati, con il risultato di rimandare al mittente quegli stessi fondi e, con essi, anche tante opportunità per i cittadini».

Nell’immaginario collettivo si consolida la convinzione che i partiti siano concretamente in mano a grandi elettori. Secondo lei è vero, perché e chi sono?

«In assoluto non penso sia vero, certamente molte logiche dentro i partiti sposano questa convinzione».

A suo giudizio, cos’è e quanto conta la credibilità in politica?

«La Politica è una nobile arte, la credibilità di ogni interprete poi la influenza in toto e spesso si fa di tutta l’erba un fascio, sbagliando ovviamente. Ritengo che essere credibile per ogni persona è fondamentale, in qualsiasi settore esso si trovi. Lo è senz’altro per chi rappresenta intere fasce di popolazione: in questo caso si deve essere, oltre che credibile, anche trasparente».

La politica di governo sembra annaspare nel tentativo di dare risposte concrete ai bisogni reali dei cittadini. I numeri disegnano un paese frammentato e al collasso. Qual è il senso di “partito liquido” lanciato da Renzi in una fase in cui l’offerta politica non riesce a incontrare la domanda?

«Penso che i classici schemi destra sinistra sono ormai superati. Oggi la gente cerca chi gli trasmette fiducia, un partito che mette insieme moderati di centro destra con i moderati di centro sinistra isola gli estremisti di ambo le parti e rappresenta la maggioranza del Paese. Il Governo sta cercando di mettere in atto riforme strutturali che sono ormai indispensabili, ma serve tempo per poter capire la ricaduta sul sistema intero».

Se è vero che la fiducia nelle istituzioni abbia toccato il fondo a quali rischi si espone il Paese?

«La fiducia nelle Istituzioni in sé penso sia comunque altra cosa, diversa è la fiducia verso chi oggi ricopre queste cariche, parliamo sempre della classe dirigente del Paese che ha come attori protagonisti gente – una percentuale ancora alta – che da decenni siede nei Palazzi, e che non ha lavorato per lo sviluppo del Paese. Il rischio oggi per il Paese è abbastanza controllabile. Si sta lavorando per portare capitali esteri nel nostro Paese».

Gli sbarramenti elettorali privano la rappresentanza parlamentare a molti milioni di votanti. Come si coniuga questo diritto negato con la necessita di governare? E secondo lei esiste una modalità alternativa?

«Penso che trovare un sistema elettorale che consenta di governare e allo stesso tempo di garantire la rappresentanza a tutti sia effettivamente complicato, l’Italicum così com’è garantisce una piena governabilità e un adeguata rappresentanza, non pone – a chi prende un voto in più degli altri – il problema di essere ricattato dagli altri piccoli partiti. Ma tutto è sempre migliorabile, fermo restando che, chi oggi critica aspramente questo disegno, ieri aveva una larga maggioranza per fare una legge idonea alle loro proposte…» .

Nel quadro istituzionale attuale sembra difficile definire quanto il Sud conti nelle priorità dell’agenda politica di governo. Quali sono secondo lei i motivi e cosa si può fare per riportare la questione meridionale al centro della partita?

«Se il Sud viene percepito come un problema per il Paese non sarà mai abbattuto il muro invisibile che da troppo tempo lo divide. Il Sud può e deve essere la motrice d’Italia, ha tutte le caratteristiche e le risorse per poter essere protagonista nel mercato europeo sia per i prodotti agro-alimentari, sia per il turismo sia per la posizione strategica nel Mediterraneo, oggi – pare – sfruttata solo dai trafficanti di uomini. La priorità del Sud in agenda governativa deve essere una seria e concreta lista d’interventi progettuali posta in essere dalle regioni».

Qual è il peso specifico delle attività politiche locali e in che modo possono influire sulle dinamiche delle strategie centrali?

«Una programmazione seria, concreta e che pone lo sviluppo del territorio deve necessariamente essere posta dalle amministrazioni locali e messa all’attenzione del Governo centrale che, come noto, conosce i problemi generali di ogni singolo territorio, ma non ha il polso sulla situazione particolare o meglio sulla quotidianità».

Sostanziali e rapide trasformazioni culturali e tecnologiche farebbero pensare che in fondo non si stia peggio rispetto al secolo scorso. Eppure tra la gente si coglie una diffusa sfiducia nel futuro. Come si spiega questa che sembra essere un’apparente contraddizione?

«Le tecnologie viaggiano troppo velocemente per poter essere superate dallo stato dei fatti, ma la bravura di chi amministra la macchina pubblica deve essere quella di sfruttare tutti gli strumenti che semplificano, velocizzano e soprattutto fanno risparmiare denaro e tempo. La vera sfida sta nel cavalcare la tecnologia, non essere cavalcati da essa».

La felicità è un argomento politico e perché?

«La felicità è un argomento che deve essere al centro della vita di ognuno di noi: essere felici è una conquista che, al pari della libertà, rappresenta una sana democrazia in un paese civile. La politica è altra cosa, ma se vogliamo fare una forzatura, allora possiamo dire che la Buona politica può aiutare la gente a essere felice».

Peppe Sorrentino

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