Da Giancarlo Siani ai problemi di Napoli e dell’Italia
A trent’anni dalla morte di Giancarlo Siani, giovane giornalista ucciso dalla camorra, abbiamo voluto ricordare la sua figura facendo il punto della situazione nel mondo del giornalismo e della società italiana insieme a Luigi Politano, dell’Associazione daSud ed editore della Round Robin. La sua casa editrice pubblicò una graphic novel su Giancarlo, nel 2011, vincendo tra l’altro anche il premio Siani. Un libro a fumetti, dove non si raccontava solo il male che portò alla tragica morte del cronista napoletano, ma si metteva in luce anche la sua storia umana, affettiva, sociale, il desiderio di raccontare una terra, il pacifismo e lo sguardo sempre attento alle problematiche giovanili. Sono passati quattro anni da quel fumetto. Giancarlo Siani vive ancora nell’immaginario degli italiani, forse più di prima.
Perché ricordare, ancora oggi, Giancarlo?
«Intanto perché ricordare Siani è come ricordare una parte della meglio gioventù di questo paese. Raccontiamo sempre le vittime di mafia come eroi. C’è stato un periodo buio in cui le vittime venivano indicate come belle statuine. Oggi c’è un riconoscimento sociale, di impegno civile, dove esce soprattutto la passione per il lavoro e le cose in cui si crede. E Giancarlo Siani era una persona appassionata del suo lavoro, raccontava le cose che lui vedeva… il terrore, il male. Abbiamo deciso di inserire la storia di Siani nella collana Libeccio perché era un giornalista giovanissimo ed era un nostro collega. Quindi era come raccontare una parte di noi… così come abbiamo raccontato la storia di Pippo Fava. Sono persone normali che per avere la loro normalità sono morte. Oggi le mafie non sono più ad appannaggio di Calabria, Campania e Sicilia e credo questo sia un segnale per chi vuole che questo paese si riprenda, sia da un punto di vista sociale che economico. Non scordiamo, infatti, che Giancarlo raccontava anche quanta ricchezza viene tolta ai cittadini italiani per colpa delle mafie».
Giancarlo era un giornalista di strada, entrava nella notizia e la viveva. Esiste ancora un giornalismo di qualità in Italia?
«Credo ci siano ancora oggi giornalisti molto bravi e attenti. Poi è naturale che ci sarà chi continuerà a vendere giornali perché fa il titolone in prima pagina. Il problema forse va visto da un altro lato. Nel senso che alcune cose non si inseriscono perché non fanno più notizia. Per cui un crimine che sembra una roba da bande di strada, viene messo da parte. Roma è un esempio. Per anni si è sottovalutato il potere criminale di questa città finché è venuta fuori “Mafia Capitale”. Eppure c’erano associazioni e giornalisti che cercavano di raccontare questa verità e l’opinione pubblica non l’accettava e veniva nascosta con la connivenza della politica. Però devo dire che ci sono ancora ottimi giornalisti in Italia, ancora il nostro è un paese dove l’informazione esce fuori. Prendiamo come esempio Giovanni Tizian, un collega e amico, che per scrivere il libro Gotica, oltre ai suoi articoli sulla “Gazzetta di Modena”, oggi vive ancora sotto scorta».
C’è davvero, come dicono negli ultimi mesi, una spettacolarizzazione del fenomeno mafioso sui media italiani?
«Penso sia una balla. Una cosa che non ha senso. Il fascino del male esiste da sempre. È esistito nelle più grandi opere teatrali. Nessuno ha mai detto nulla su Dumas che scriveva del Conte di Montecristo parlando di vendetta. Non penso che qualcuno abbia mai detto nulla sul fatto che Milton abbia scritto il “Paradiso Perduto”. Chi dice che “Gomorra” è antieducativo ha dei problemi. Pensiamo al fatto che una delle cose più contestate in tv, in questi anni, è stata la serie “Il capo dei capi”, che ha come sceneggiatore Claudio Fava, il cui padre è stato ucciso dal clan Santapaola nel 1984 in Sicilia. Non credo che Claudio Fava abbia l’intenzione di alimentare la voglia di delinquere dei ragazzi. Sono i ragazzi a decidere da che parte stare. È una polemica fine a se stessa. Poi è chiaro che ci sono molti giovani che si fanno suggestionare. Ma non credo che un film abbia tutto questo potere».
Novità per la collana Libeccio?
Per adesso ha concluso il suo percorso. Abbiamo raccontato ancora l’antimafia con la storia di Cosimo Cristina, il primo giornalista ucciso dalla mafia. Ma la prossima a uscire sarà la storia di Vittorio Arrigoni, “Vik”, tutta ambientata in Palestina sulla Striscia di Gaza.
Rosy Bindi ha detto che la camorra è un dato costitutivo di Napoli? Una riflessione.
«Napoli è una città bellissima, ma una parte del problema è il popolo che la vive, i politici che la amministrano, le persone che fanno finta di niente. Certo non mi aspetto che domani nasce Masaniello e fa la rivoluzione. A Napoli c’è disagio diffuso perché c’è disoccupazione ed è più facile delinquere. Ci sono alcune cose che non vengono più percepite come un problema sociale. Il malessere di quella città parte dal modo di comportarsi che hanno alcune persone. Il punto è che in ogni paese bisognerebbe andare a capire qual è il problema concreto. Una sana ribellione dovrebbe partire da una profonda autocoscienza. I problemi ci sono anche perché la gente non vuole risolverli. Dunque direi che è anche un problema insito nella società napoletana, come in altre città del Sud e del Nord».
Davide Speranza