Napoli, ‘na camminata con Pino Daniele
Nell’anno della scomparsa Pino Daniele “Mostra Rock Napoli” celebra il mascalzone latino con l’organizzazione di “Napule è ‘na camminata, itinerari sui luoghi di Pino Daniele”. Domenica 27 settembre si è tenuto il quarto degli itinerari curati e condotti dai ciceroni Carmine Aymone e Michelangelo Iossa, direttori culturali di Musica Rock Napoli.
Partenza da Piazza Bellini nel cuore del centro storico napoletano, nodo in cui si in- trecciano Via San Sebastiano “la Strada della Musica”, costeggiata dalle caratteristiche botteghe musicali, e Vico San Pietro Majella ove è ubicato il conservatorio, scrigno della tradizione musicale madrigalista e gregoriana. In questo meltin’ pot, in cui l’antico delle rovine greche si fonde con la giovanile sete di novità, gli adolescenti napoletani sono i primi a poter approcciare Il Rock e il Blues americano grazie al retaggio del dopoguerra. Tra questi adolescenti anche Pino Daniele, il quale fonderà gli elementi delle tecniche strumentali Rock e Blues con quelli della Canzone Napoletana. È grande l’ammirazione del giovane Pino per il chitarrista Eric Clapton, tanto che desidera come prima chitarra in regalo una Gibson S Rossa Diavoletto, la stessa che il musicista britannico suona in quel periodo.
Sulle note di “Musica Musica” si scende Via San Sebastiano e poi Via Santa Chiara, dove l’artista partenopeo è nato e ha trascorso i suoi primi anni. Nell’intrico di viuzze che talora sfociano in larghi o piazzette vivono i miti della tradizione napoletana, come quello della “Bella M’briana”, fata benevola che sicuramente Pino avrà incontrato una notte passeggiando per le sue stradine, come canta nell’omonima canzone, tratta dall’o- monimo album del 1982. Questo suggestivo ambiente è anche il palco sul quale vanno in scena gli atti della vita quotidiana di alcuni dei protagonisti delle canzoni del suo primo periodo. Il fratello Carmine “O Giò” di “I got the Blues”, “Donna Cuncetta” soggetto dell’omonimo brano, infine “Furtunato” proprietario di una bottega alimentare “chiusa il lunedì” e dirimpettaio della famiglia Daniele.
Il primo palcoscenico di Pino Daniele sono le scale della Chiesa di Santa Maria Nuova dove al ritorno da scuola suona la sua Gibson insieme al suo amico e futuro cantautore Enzo Gragnaniello, allora garzone del Bar Battelli di Via Banchi Nuovi. In questi luoghi il mascalzone latino pone le basi del suo successo inserendosi nel più florido contesto musicale partenopeo. Entra a far parte come bassista dei Napoli Centrale fiancheggiando il maestro sassofonista James Senese e nel 1979 pubblica il suo primo album da solista “Pino Daniele”.
Si esce così dall’ingarbugliato centro finendo “sotto o’ sole” da cui ormai il reticolato di strade e mura non protegge più, giungendo fino a Via Medina. Da questa strada, su cui si ergono edifici dagli stili architettonici più svariati, prende il nome l’album “Medina” che giova della contaminazione della musica Nord Africana. Si prosegue per Piazza del Plebiscito, teatro del concerto del 1981 insieme agli altri componenti del Napolitan Power – James Senese, Tony Esposito, Rino Zurzolo, Tullio de Piscopo, Joe Amoruso – che raccolse più di 200000 spettatori. Da Piazza del Plebiscito è breve il tratto da percorrere per raggiungere il mare.
Il Mare che è stato la più grande fonte di ispirazione per Pino Daniele: brani di denuncia sociale come “Chi ten ‘o mar”, oppure “Why Man” che racconta degli scugnizzi napoletani che prelevavano i soldati statunitensi appena sbarcati per portarli in centro e far loro spendere “Nu poc e dollars” in birra e donne, e ancora il canto d’amore “Voglio ‘o mar”.
Il tour si conclude a Castel dell’Ovo, magica tomba della sirena Partenope, zona in cui si suggella il connubio con Massimo Troisi per cui scrive “Quando Quando” colonna so- nora dell’ultima regia del talento di San Giorgio a Cremano “Pensavo fosse amore invece era un calesse”.
Il genio dello “Scarrafone” continua a scandire il ritmo della movimentata quotidianità napoletana: attraverso le note delle autoradio in transito, grazie all’opera delle Tribute Band locali (vedi i Quanno Good Good di Olimpio Marino), con la perentorietà del murale in Via Banchi Nuovi su cui si legge, ancora e ancora per molto, “I say ‘I sto cca’!”.
Francesco Santoriello