Il giorno che David Bowie Diventò Umano

«Guardate qui, Sono in paradiso
Ho cicatrici che non possono essere viste
Ho drammi, non possono essere rubati
Tutti mi conoscono adesso»

Parole di congedo o suggestioni di una fine annunciata? Probabilmente non lo sapremo mai. Certa è solo l’uscita di scena dell’icona per eccellenza della musica pop internazionale: il “duca bianco”, David Bowie.

È la fine la più importante. Un modo scenico, a tratti istrionico, di volare finalmente nello spazio tanto agognato ma che ha gettato nello sconforto chi con quelle maschere, quei costumi, quel modo di rendere accattivante l’oggetto artistico ci ha fatto i conti, nutrendosene, per più di 40 anni. Chi scrive ha impiegato un giorno intero per metabolizzare un lutto così grande – egoisticamente parlando – e sproporzionato per la musica e la cultura occidentale arrivando alla conclusione che sarebbe inutile e quasi mortificante offrire un resoconto sommario della carriera di un Artista talmente eclettico ed eccentrico da aver sovvertito le regolamentazioni della concezione artistica tout court concependo, per primo, la musica come una mistione fluorescente di cinema, teatro, letteratura e poesia. Cosa sarebbe stato della cultura pop sixties e dei patinati anni ’80 senza Bowie? Neanche a questa domanda potremo mai dare una risposta ma siamo convinti che molto, forse tutto, sarebbe diverso: alieno e alienato in un mondo che l’ha visto vivere più di una, cento forse mille vite. L’uomo delle stelle (“Starman”) dalla materia è tornato alla polvere e lo ha fatto, come al solito, con uno stile inconfondibile: il Duca Bianco si è trasformato, per l’ultima volta, in una “stella nera” (“Blackstar”).

Il nemico dell’iconoclastia. C’è un aspetto che ha sempre stuzzicato la fantasia di molti seguaci del Bowie-artista: l’iconografia che da sempre si cela dietro la sua figura. Le maschere in cui spesso Bowie si trasformava non erano una pantomima quanto frammenti della propria personalità che venivano messi in scena con la maestria di un attore, un provocatore, un agitatore d’idee o più semplicemente di ingenuo rivoluzionario. Ha dovuto inevitabilmente vivere più di centinaia di vite prima di poter finalmente eclissare e trasformarsi in un astro scuro ma pur sempre accecante. Quando penso a David Bowie, io che come tanti non l’ho neanche mai visto in concerto, inseguo le note di centinaia di canzoni: c’è – a esempio – quel riff famosissimo di “Rebel Rebel” che ho ascoltato in un film, che ho ritrovato in un ricordo qualsiasi. Migliaia di persone in queste ore non riescono a capacitarsi della perdita di un uomo lontano anni luce eppure così radicato in ognuno di noi. Cos’è questa inspiegabile sofferenza che ci lega ad artisti con cui non abbiamo mai nemmeno condiviso un caffè? Io azzarderei dire: la potenza della musica.

Sì, perché costruiamo le nostre esistenze su modelli ideali che vengono fuori dall’estro di artisti come Bowie; ci nutriamo di quelle atmosfere, quelle parole che sembrano scritte apposta per noi e le rendiamo colonne sonore di un attimo, di un ricordo o anche di solo un semplice sguardo tra sconosciuti. Un legame indissolubile che neanche la più affilata delle “falci” potrà mai spezzare.

Gli “eroi” non esistono, forse. Sembrerà scontato, ma c’è un brano – “Heroes” – che nelle ultime ore mi ha fatto riflettere sulla condizione di un artista che, come abbiamo già detto, è riuscito a spostare equilibri sonori e non solo: gli eroi non sono di questo mondo, forse per un giorno, ma comunque destinati a essere sconfitti. Anche Bowie l’aveva capito e il suo ultimo disco suona come funesta accettazione dell’inevitabile: c’è un uomo che lotta, si dimena, barcolla, cade, si rialza ma lacerato, emaciato che attende l’ultimo rintocco come si attendono i titoli di coda di un film che vorresti non finisse mai. La sensazione più vivida che l’artista britannico ha lasciato, soprattutto in questo ultima “opera” discografica, è che non esistono vincitori né vinti e che la vita è una battaglia da cui non si esce vivi nemmeno vestendo i panni del super-eroe.

Diciotto mesi di lotta ora solcano il viso di un alieno che è dovuto diventare umano prima di poter morire. Bowie mancherà soprattutto per esser stato un visionario, purtroppo, senza eredi. Brilla forte, allora, astro nero!

Carmine Vitale

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