Perché le unioni civili sono necessarie
Bisognerà attendere martedì per la votazione sulle questioni pregiudiziali e sospensive relative al Ddl Cirinnà.
In attesa dell’esito della discussione generale, il disegno di legge si presenta strutturato in due titoli: il primo volto alla regolamentazione delle “Unioni Civili” di persone dello stesso sesso, il secondo della “Convivenza di fatto”. Le unioni sono disciplinate come istituto giuridico a sé stante ma affine al matrimonio, prevedendosene, tra l’altro, la celebrazione dinanzi all’ufficiale di stato civile, configurando la possibilità di scelta in capo ai coniugi tra un regime patrimoniale di comunione o separazione dei beni, imponendo a essi gli obblighi assistenziali morali e materiali (alimentari e di mantenimento), disponendo il diritto alla pensione di reversibilità al convivente superstite.
Nodo critico e presunto viatico per avallare la pratica illegale dell’utero in affitto è la stepchild adoption, norma che consentirebbe alle parti dell’unione di adottare il figlio, biologico o adottivo, del partner. Insomma, finalmente un provvedimento che raccoglie una mole di istanze che ormai non potevano più essere ignorate, e che, certo, non potrebbe dirsi avanguardista, essendo la materia in questione già puntualmente affrontata in gran parte degli ordinamenti europei.
Nelle ultime settimane la vicenda ha avuto un riscontro mediatico non irrilevante: family day contro famiglie arcobaleno, lo “sponsor” digitato sul Pirellone da chi utilizza una sede di Consiglio Regionale a proprio uso e consumo, le immancabili diatribe sui social, la proliferazione di neologismi per denominare le fazioni di voto. L’estenuante lotta tra favorevoli e contrari, piuttosto che costituire manifestazione contingente del Polemos eracliteo (eterno contrasto fra gli opposti), sembra corrispondere a una delle tante edizioni della corrida italiota che si svolge su di un terreno fertile per la strumentalizzazione politica.
Il PD, nonostante tutto, ancora alla ricerca di un accordo sul punto nevralgico delle adozioni, ha intenzione di giungere al definitivo esame per l’approvazione del Ddl Cirinnà entro l’11 febbraio. Delineato lo scenario, ci concediamo la licenza di prendere le distanze da chi, con pregiudizio, non concepisce una legge che configuri e regoli un modello familiare meno diffuso ma, non per questo, non affermato empiricamente e non meritevole di tutela. Innanzitutto, ci preme far notare ai detrattori, o meglio oppositori irremovibili che al riconoscimento di un diritto civile a favore di una categoria di consociati non corrisponde un sacrificio corrispondente per un’altra: legalizzando l’unione omosessuale non si scalfisce né la tutela giuridica del matrimonio, né la sacralità di quello religioso.
Singolare, poi, è la posizione di coloro che sostengono che vi sia una unica e naturale versione di famiglia. “Naturale” in che senso? Nella sua accezione più pura la natura, violenta e spietata, è il luogo in cui vige la legge del più forte, in cui la morale non esiste, in cui alcuna condotta può essere considerata deplorevole; ma pare che qualcuno sia comunque convinto che nel neolitico si vivesse come in una pubblicità della “mulino bianco”. L’uomo si è fatto tale nel momento in cui ha iniziato a vivere in società, organismo di cui la famiglia può reputarsi unità cellulare che cambia struttura a seconda della latitudine, della longitudine e dell’epoca di riferimento. Si potrebbe osservare, esemplificativamente, come il modello patriarcale, preminente fino a qualche decade fa, sembra essere lontano anni luce dal prototipo familiare odierno.
È il momento di prendere lucidamente atto che urge un intervento legislativo che renda il diritto familiare in grado di cogliere e aderire al mutamento sociale, piuttosto che continuare ad arroccarsi dietro argomentazioni artefatte, dietro il totem del complotto gender. Insabbiare ancora la testa sarebbe da bigotti e vigliacchi. Andiamo avanti.
Francesco Santoriello