“ChI sono i viaggiatori?”: Firenze-Ankara, da qui non partono sogni

Firenze – Santa Maria Del Fiore – marzo 2011.

Di Firenze ricordo solo una cosa: è una città umida. E se ti trovi nella capitale toscana a settembre l’unica cosa che puoi fare per proteggerti dalle calde temperature e da quella fastidiosa sensazione di appiccicaticcio sulla pelle è correre ai ripari in una sala climatizzata di un qualsiasi locale commerciale.

Io e Omar ci siamo conosciuti proprio a Firenze. Erano i tempi in cui rincorrevo ancora un sogno professionale ben definito, o quantomeno tentavo di imparare un “mestiere” alla buona e vecchia maniera. In un bar dietro la stazione di Santa Maria Novella, aspettavo un caffè al bancone lucido di maioliche finte come finto era il caffè che i cinesi mi avrebbero servito di lì a poco. Io, straniera tra gli stranieri. Omar viveva a Firenze da tre mesi, nel quartiere Rifredi, uno dei più estesi e popolati che occupa il quadrante nord-ovest. Studiava Arte della Moda all’Accademia Italiana, un master di I livello che avrebbe fatto impallidire anche il più avvezzo dei David Gandy. Illo tempore, fu lui a presentarsi. Trascinavo la mia sciarpa di cotone sintetico per tutta la sala del bar mentre cercavo nella borsa il mio pacchetto di sigarette. Me lo fece notare. Fu così gentile che l’unico gesto blando che mi venne in mente per contraccambiare la carineria fu quantomeno presentarmi. Finii per pagargli un tè nero. Mi accompagnò lungo tutto via Nazionale, stradone che porta al terminal dei bus. E in quel cammino di soli venti minuti, da perfetti stranieri in terra straniera, finimmo per parlare di noi.

Io, italiana, straniera in terra fiorentina. Il mio accento del sud infastidiva colui che al tempo era il mio capo. Infastidiva il salumiere, e talvolta anche gli impiegati del Mc Donald’s. Un giorno raccontai al mio superiore di un episodio legato a una delle mie trasferte a Pisa – città che ospita una delle più grandi comunità cinesi d’Italia – e mi beccai una similitudine manco provenissi dalla remota provincia del Xinjiang: «Eh, non è che tra te e loro ci sia così tanta differenza». Era un caso isolato il suo, sia chiaro. Non mi ero mai sentita così lontana dal focolare. E Omar assomigliava a ciò che di più vicino avessi in quel momento per sentirmi a casa. Nel momento giusto e nel posto sbagliato.

Non ho mai ascoltato i consigli dei miei genitori che mi dicevano di dar poca confidenza agli estranei. Per me sono sempre stati inesauribile fonte di curiosità. Assomigliavo, nel mio modo di vivere l’altro, più a loro che a chiunque aperitivense de La Terrazza, locale alla moda di Firenze. Solo che il mio metodo di approccio è sempre stato più che altro fallimentare. E allora esordii così: «Come fai a immaginare un vestito? A inventarne di nuovi? Trovo la moda un concetto così superato e copiato che negli anni l’inventiva legata a essa non è altro che il riciclo e la mescolanza di stili di decenni prima». I suoi occhi scuri raccolti nell’ombra della sua pelle abbronzata indicavano l’orlo largo dei miei pantaloni. Non potevo trovare un modo peggiore di orientarmi, e quello sguardo dubbioso da futuro stylist me lo stava confermando. Il suo non era un sogno. I sogni si immaginano. Li si aspetta la notte per ipotizzare una vita fuori dal reale. E lui non sognava. Dormiva. Perché sapeva che al risveglio avrebbe avuto un obbiettivo da perseguire e riportare a casa, ad Ankara. So tutte queste cose di Omar perché nei mesi successivi ci siamo in- contrati nuovamente, e quando ho lasciato Firenze ci siamo scritti. Poi come capita ai migliori amici di penna ci siamo persi.

Ho sempre pensato alla capitale Turca come una città dal fascino irresistibile. Tra le strade del distretto di Bala ho immaginato quello che secondo me sarebbe potuto essere l’atelier di Omar, un misto di Karl Lagerfeld e Ermenegildo Zegna.

Ma forse questo non è il tempo giusto per Omar e Ankara. Il mese scorso dalla città di Angora partivano missili diretti in Siria e Iraq, e non lustrini e paillettes. La più antica città turca ora fa da scenario a una sanguinosa guerra contro l’Isis, sotto l’occhio vigile e la mano ferma del Governo Russo. Sono migliaia i profughi arabi e turcomanni che stanno attraversando il confine con la Turchia, dopo l’intensificarsi dei bombardamenti russi e dell’offensiva del regime di Bashar al Assad nell’area. Quale pace può schiarirsi all’orizzonte adesso resta solo un’ipotesi. Ora che la decisione del presidente della Commissione UE, Junker, comunicata al premier italiano Renzi, esclude dal deficit i fondi dell’Italia alla Turchia. Tutto ciò fa pensare che forse può realmente esistere una netta distinzione su chi sia da salvare o meno. Le scelte diplomatiche e politiche prese a tavolino non fermeranno l’onda di migrazione partita mesi fa dalla Siria. Quando leggo di Ankara penso subito a Omar, e invece di lasciarmi trasportare dalle visioni delle sue eclettiche creazioni, faccio i conti con l’ennesima storia di abusi e sfruttamento dei migranti. Loro, i migranti, sono solo dei viaggiatori che hanno sogni più grandi dei nostri. E sicuramente più ambiziosi, laddove “sopravvivenza” sta per “aspirazione”. E sono costretti a immaginarli fortemente questi sogni e a viverli per scappare dalla violenza, rincorrendo le regioni steppose tra i confini turchi.

E del progetto di Omar ad Ankara resta solo il sogno, forse. E gli orrendi pantaloni dall’orlo largo che conservo ancora in qualche angolo dell’armadio.

Fedora Alessia Occhipinti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Editoriale

di Mimmo Oliva

Polis SA 2020. UNA REALTA’ IN CONTINUO DIVENIRE

A cinque anni dalla nascita dell’associazione nocerina, facciamo un “bilancio” con Mimmo Oliva, Portavoce nazionale di Polis Sviluppo e Azione. Mimmo, 5 anni di Polis Sviluppo e Azione. Una visione...

BUON VIAGGIO MARTA!

Marta, quando ho saputo che non c’eri più è come se da qualche punto oscuro della mente siano comparsi tutti i ricordi, gli episodi, le incazzature e le tante risate...

Ricominciamo

Ricominciamo, da dove avevamo lasciato, con nuova veste e struttura, nuovi partner ma con vecchia e immutata passione. E con l’immutato pensiero che l’informazione debba essere libera, autonoma e obiettiva...

NAVIGANDO CONTROVENTO

Le nostre sette parole perché: «Il populismo è la democrazia degli ignoranti, che segnala problemi reali e propone soluzioni false». È una citazione recente del filosofo spagnolo Fernando Savater che...