Terremoti? L’unica certezza è che siamo in ritardo. A rischio soprattutto i centri storici. E in Campania di certo non c’è da star sereni
Stamattina guardo la rassegna stampa, e vedo le immagini del terremoto. Il terremoto del 24 agosto 2016 tra Lazio, Marche e Abruzzo – qualcuno dice – fa parte di una lunga serie, ininterrotta, di eventi che non sono destinati a cessare. La cosa mi preoccupa. Sono abituato a pormi domande, ma davanti a questa tragedia devo ammettere che ne so davvero poco, o nulla. Intanto la giornata monta, e appena posso mi fermo per cercare una risposta ai miei dubbi… Leggo il bollettino dell’INGV: “Il terremoto è avvenuto nella zona dell’Appennino centrale, provincia di Rieti presso il comune di Accumoli, ma ha interessato anche le province di Perugia, Ascoli Piceno, L’Aquila e Teramo. I comuni più vicini all’epicentro sono: Accumoli, Amatrice, Arquata del Tronto. La magnitudo locale (Richter) del terremoto è pari a 6.0”. Ma alla fine ne so meno di prima. Allora mi ricordo di uno che, in fatto di geologia, la sapeva lunga, e te la faceva capire con parole semplici che non avresti immaginato. Cerco il numero ma… l’avrò perso, in fondo sono passati tanti anni dalle discariche e dalle trivelle. Poi, quando avevo quasi rinunciato, mi ricordo che qualche anno fa c’eravamo sentiti su Facebook… ecco! Lo cerco lì, e lo trovo. Lo contatto. Lui è Franco Ortolani, emiliano d’origine e napoletano d’adozione. Premio “Giorgio Dal Piaz” della Società Geologica Italiana appena borsista, dopo più di trent’anni di cattedra, è ancora geologo militante. Per tutti è «‘o prufessore», sia che si parli di discariche, sia che siano le prospezioni petrolifere il problema di una comunità, così come pure dopo un’alluvione o un terremoto, lui è lì dove serve. Mi risponde appena può, con un garbo d’altri tempi. “Professore, come sta… il terremoto di stamattina… avrei qualche domanda…”.
Con voce paziente ascolta le mie domande e mi guida con sapienza verso quel che ritiene soggetto degno di nota: «Se fossero confermati i 4 km dalla superficie dell’epicentro – anche se le prime “repliche” sono a 10km – sarebbe strano, ma non troppo. Il terremoto è nella fascia ad altissima pericolosità lungo l’appennino centrale, l’area è stata colpita da forti scosse di terremoto nel passato. La faglia come quella che si è riattivata questa mattina interessa la parte superiore della crosta, da circa 10-12 km di profondità fino quasi alla superficie e spesso fino alla superficie del suolo. Tutte le rocce, a tetto e a letto, della faglia contribuiscono a evitare uno scorrimento continuo lungo la superficie di rottura preesistente. A poche ore dal terremoto, sono state registrate numerose scosse – dette “aftershock” – soprattutto nella zona di Norcia (Perugia) con magnitudo 5.1 e 5.4 a profondità entro i primi 10 km». Poi il tono cambia, precisa: «Questo terremoto non ha nulla a che vedere sull’attività umana che avviene sulla fascia costiera di origine estrattiva, bensì normale tettonica e interessa, appunto, gli ultimi 10 km di spessore della crosta. Semplificando, si tratta del movimento delle placche africana ed europea: l’area di cedimento in questo caso si trova a 4 km (o 10 che siano), che poi prosegue in direzione nord – ovest per ca. 23 km. In sostanza il punto più debole ha ceduto per primo, ma si tratta di qualcosa che accade nella norma: gli eventi dell’Emilia Romagna nel 2012 e dell’Aquila hanno la stessa origine. È la fascia centrale dell’appennino, ben delimitata sulle carte dell’INGV».
Mi chiedo – e gli chiedo – del perché siano venuti giù – anche stavolta e soprattutto negli episodi sismici del recente passato – edifici che hanno resistito ai secoli, e oggi ce li troviamo in tutto o in parte crollati… «I terremoti ci sono sempre stati, nulla di nuovo: l’area è stata colpita da forti scosse di terremoto nel passato… abbiamo notizia in questo senso già dal 1639. Anche in passato, quindi, molti edifici sono venuti giù. Il problema è il rifacimento e la manutenzione: ieri le tecniche non permettevano molto in termini di pre- venzione, oggi potremmo intervenire prima, ma quasi mai lo facciamo». E poi c’è anche un problema di “memoria storica dei luoghi”, perché il nostro stile di vita è “veloce”. Che è una parola che non vuol dire nulla… una parola abusata per non ammettere che siamo distratti, troppo distratti, per guardare alla solidità del tetto che ci mettiamo sulla testa o delle fondamenta delle case in cui ci stabiliamo con la nostra famiglia. Una volta, invece, il nome stesso di un posto era tramandato, per generazioni, affinché nulla fosse lasciato al caso, all’oblio del tempo. Il professore annuisce nel silenzio del telefono, e poi esordisce «In Campania, abbiamo avuto ben tre “sollecitazioni sismiche discrete”, tre terremoti – quelli del 1930, del 1962 e da ultimo del 1980 – che sono stati devastanti, molte strutture non hanno retto, e tantissime sono state le vittime. La causa è la medesima dell’evento di cui discutiamo. Ma siccome ogni terremoto può incidere su ciascuna struttura, quelle non antisismiche corrono un alto rischio a ogni terremoto futuro. E purtroppo fenomeni sismici di elevata intensità, nella zona, sono certi».
Cioè, con il suo fare pacato, mi sta dicendo che, anche se temiamo molto di più un’eruzione del Vesuvio, evento probabile su archi temporali incerti ma comunque lunghi o lunghissimi, rischiamo molto di più per un banalissimo terremoto di cui cause e conseguenze sono arcinote, su tempi più ristretti – in media trent’anni o meno – ma rispetto al quale poco o quasi facciamo: «La prevenzione consiste solo nella sicurezza che gli edifici resisteranno alle sollecitazioni orizzontali indotte da un eventuale terremoto. È evidente che gli edifici più vulnerabili sono quelli dei centri storici, cioè quelli costruiti senza alcuna precauzione tecnica per non resistere alle complicate azioni sismiche che si possono verificare nelle aree epicentrali… In sostanza, si sarebbe dovuti intervenire sui centri storici, e soprattutto strutture pubbliche di riferimento, come a esempio l’ospedale, le suole, etc… in modo da metterli in sicurezza da un evento che, nel prossimo futuro, rappresenta una certezza. Invece questo non è stato fatto, non come avremmo dovuto».
Continuo a chiedere degli interventi normativi che si dovrebbero varare d’urgenza per la messa in sicurezza dei centri storici, del fatto che negli ultimi anni forse si ci è con- centrati di più sulle aree urbane in cui intervenire voleva dire cementificare, con piccoli ampliamenti e messe in sicurezza che inevitabilmente si trasformavano in speculazioni. Il telefono è muto, ma m’immagino il professore che guarda con rassegnazione il cielo. Poi esordisce: «Per ora, in gran parte delle aree che sono già state epicentri di terremoti distruttivi in passato e che possono essere di nuovo interessate da nuovi eventi sismici vale una vecchia regola non scritta: io?…Speriamo che io me la cavo».
Peppe Sorrentino