Il Regno delle Due Sicilie non aveva paura dei terremoti: La Casa Baraccata
Il 5 febbraio 1783 un grave evento sismico colpì l’Italia Meridionale. Uno degli eventi più tragici, in termini di magnitudo, che abbia mai colpito la nostra Penisola. Le zone colpite furono quelle di: Vibo Valentia, Reggio Calabria e Catanzaro. Un evento sismico di una violenza inaudita, tra il 5 febbraio e il 28 marzo 1783, si contarono, in rapida successione, 5 scosse fortissime. La scossa del 6 febbraio provocò, tra l’altro, anche un violento tsunami che investi le città di Messina e Bagnara Calabra causando un migliaio di vittime. Alla fine il livello distruttivo sarà individuato nell’undicesimo grado della scala Mercalli e si conteranno oltre 30.000 vittime. Solo dopo 10 giorni, dalla prima scossa, giunsero nella capitale del Regno (Napoli) notizie dell’immane disastro. Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli, decise d’intervenire con celerità assoluta affidando al conte Francesco Pignatelli il titolo di Vicario Generale delle Calabrie con l’obiettivo dell’organizzazione dei primi soccorsi e di vigilare sulla ricostruzione. Il governo borbonico, inoltre, inviò anche una spedizione della Reale Accademia delle Scienze di Napoli per compiere indagini e osservazioni. Il paesaggio che descrissero fu, a dir poco, impressionante: enormi frane, crolli, distacchi di varie porzioni del territorio, intere colline franate verso valle trascinando interi centri abitati, corsi d’acqua ostruiti dalle frane formarono addirittura dei piccoli laghi. I centri abitati completamente rasi al suolo furono 182. Una catastrofe di tali dimensioni indusse il governo a prendere delle decisioni radicali: una riforma del sistema economico-abitativo della Calabria (interi paesi abbandonati e ricostruiti in altri siti) e, soprattutto, l’adozione di tecniche costruttive innovative che tenessero in considerazione tali accadimenti naturali.
Il 20 marzo 1784 il Governo Borbonico emanò le “Istruzioni Reali”, che saranno di fatto il primo regolamento antisismico della storia, in cui si suggeriva la forma delle strade delle città. La strada maestra dritta e larga 8 metri, per le città minori, e fino a 13 metri, per le città importanti; le strade secondarie da 6 a 8 metri, dritte e ortogonali tra loro. Il sistema stradale, così ben geometricamente definito, consentì la costruzione di edifici molto regolari che dovevano avere una particolarità: da realizzarsi con una tecnica nota come “Casa Baraccata”. Questo sistema, ideato dall’ingegnere Francesco La Vega, prevedeva l’utilizzo di una muratura rinforzata con un telaio in legno. L’ingegnere La Vega arrivò a questa conclusione a seguito della sua esperienza, diretta, nell’analisi delle strutture realizzate dagli antichi romani. Carlo III di Borbone, infatti, all’inizio del 1700 decise di avviare un’intensa campagna di scavo a Ercolano, Pompei e Stabia, con il chiaro obiettivo di portare alla luce il più vasto numero di reperti possibile. Dal 14 marzo 1780 le attività di scavo furono dirette proprio dall’ingegnere Francesco La Vega. Durante la sua direzione, l’ingegnere napoletano, ebbe l’occasione di osservare l’opus craticium (Opera a Graticcio), cioè le pareti degli edifici intelaiate con elementi in legno realizzate dai romani nell’area vesuviana. Forte della sua esperienza e della tecnica ingegneristica della scuola napoletana indicò al re la strada per una ricostruzione duratura e pronta contro nuovi fenomeni naturali simili. Il governo borbonico stabilì, nel regolamento “Istruzioni Reali” del 1784, che: la costruzione delle case non dovesse superare i 2 piani di altezza; la demolizione dei piani oltre il secondo; la rimozione dei balconi e di tutte le parti sporgenti; l’incatenamento delle pareti con la tecnica della “Casa Baraccata”. L’utilizzo di questa tecnica consentì, a esempio, al Palazzo Vescovile di Mileto (Vibo Valentia), costruito dopo il 1784, di resistere a terremoti ancor più devastanti che colpirono la Calabria, come quello del 1905 e del 1908. Inoltre, l’architettura costruita seguendo le prescrizioni messe in atto dal regolamento borbonico, pur riportando danni significativi, non subì in nessun caso crolli totali. Il Regno delle due Sicilie era riuscito nel proprio intento: ricostruire un territorio completamente devastato e dotarsi di un regolamento edilizio, primo nella storia, che prendesse in considerazione l’azione dei terremoti. Con l’Unità d’Italia, il nuovo regno abrogò tale regolamento ritenendo “troppo onerosa” la costruzione degli edifici con questa tecnica… ma questa è un’altra storia.
Francesco Saverio Minardi