23 Novembre 1980… una ferita ancora aperta
Il 23 novembre 1980, alle ore 19.34, un forte terremoto colpì le zone dell’Appenino Campano-Lucano, tra le province di Avellino, Salerno e Potenza. Una forte scossa della durata di circa 90 secondi. Si raggiunse una magnitudo momento 6.9 (6.5 della scala Richter) e il grado di devastazione finale fu valutato nel X grado della scala Mercalli. L’epicentro fu individuato tra i comuni di Teora e Conza della Campania, città, come Laviano e Sant’Angelo dei Lombardi, furono completamente rase al suolo. Alla fine si contarono 2.914 morti, 8.848 feriti e 280.000 senza tetto. L’ufficio del Commissario straordinario quantificò danni nel 74% del territorio colpito, ovvero, 506 comuni su 679. L’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) appurò, in seguito, che si innescarono 3 distinte rotture di faglia localizzate sotto i monti: Marzano, Carpineta e Cervialto. Sul monte Cervialto la frattura, visibile tutt’oggi presso una zona nota come Piano delle Pecore, raggiunse addirittura la superficie lasciando un segno della lunghezza di 35 km per circa un metro di larghezza. Studi successivi, inoltre, verificarono che, nell’area, questa tipologia di terremoti non sono eventi isolati, ma si susseguono, con tale intensità, con cadenza di circa 2000 anni. Il sisma del 1980 passerà alle cronache per i ritardi nei soccorsi, per una ricostruzione lenta e ancora incompleta dopo 36 anni, per un costo della ricostruzione aumentato di venti volte rispetto alle previsioni, per l’intromissione di associazioni delinquenziali nella ricostruzione. A 36 anni di distanza il sisma dell’80 è una ferita ancora aperta e si ricorda, maggiormente, per eventi successivi e che per l’alto prezzo in termini di vite umane. La Protezione Civile era ancora in stato embrionale e passarono diversi giorni prima di comprendere il reale stato delle cose, nelle aree colpite. Ulteriore ritardo per i soccorsi, oltre a una disorganizzazione della Protezione Civile, furono le difficoltà di accesso nelle zone dell’entroterra, da parte dei mezzi di soccorso. Il 26 novembre il Mattino titolava: “Fate presto”… titolo che diventò un monito e scosse l’opinione pubblica, il mondo politico e quello scientifico. Il 25 novembre fu proprio il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che si recò, in elicottero, sui luoghi del disastro a denunciare questa grave mancanza nei soccorsi. Le dure parole del presidente, in un discorso televisivo rivolto agli italiani, causarono l’immediata rimozione del prefetto di Avellino e le dimissioni dell’allora ministro degli Interni (dimissioni successivamente respinte dal governo in carica). Le parole del presidente, di censura e accusa nei confronti di rami istituzionali dello Stato, ebbero un profondo effetto nella coscienza degli italiani: un gran numero di volontari si recarono sui luoghi del disastro e risultarono di grande aiuto nella gestione successiva della macchina dei soccorsi. I morti, la distruzione e interi paesi rasi al suolo… sono passati 36 anni, ma è impossibile dimenticare. Fu tutta l’Italia a farsi trovare impreparata, come sottolineò il Presidente della Repubblica. Le azioni, fu il primo a recarsi sui luoghi, e le sue parole successive, furono macigni che si abbatterono sulle Istituzioni. Parole dette da un uomo di profonda onestà intellettuale e un invidiabile rigore morale. Sono passati 36 anni… molte cose sono cambiate dal 23 novembre 1980 anche nella comunità scientifica. Oggi siamo in grado di determinare con precisione, in pochi minuti, l’origine del terremoto (ipocentro) e la sua energia (magnitudo). Il terremoto dell’80 segnò il superamento di una frontiera, nel campo della geologia. Studi successivi hanno consentito di determinare che la nostra penisola subisce un’estensione nel senso nord-est/sud-ovest. Un allargamento valutato in 5/6 mm l’anno. Il terremoto dell’80 colpì profondamente l’intero apparato istituzionale: di lì a poco una nuova normativa incideva sul settore delle costruzioni (nuova zonizzazione sismica e nuovi criteri di costruzione). Tanto è cambiato dal 1980 e tutti poniamo l’attenzione su delle cose, ma il dramma di quei giorni ha una sola chiave di lettura: 2.914 morti*.
Francesco Saverio Minardi