Fantasmi in Puglia: le presenze oscure di Torre Navarino
È il 1749, tuoni, lampi e una pioggia scrosciante agitano una notte di novembre. L’abate Gregorio Gadaleta si trova nella sua dimora, Torre Navarino, un’imponente e sfarzosa costruzione che si erge su due piani, annessa a una chiesa dedicata a San Francesco da Paola e a un palmeto a tre archi, che domina contrada Gadaleta, tra Molfetta e Terlizzi, con le sue due torri alte dieci metri unite tra loro da una colombaia. L’abate sta per andare a dormire quando sente qualcuno bussare alla sua porta. Apre e si ritrova davanti tre uomini, bagnati dalla pioggia, che si presentano come pellegrini in cerca di un alloggio dove poter passare la notte.
Gregorio li accoglie nella sua casa con molta tranquillità, ma sarà, questo, un gesto di cui si pentirà amaramente. Nel giro di pochi istanti sente delle mani che lo tengono immobilizzato mentre i presunti viandanti mettono a soqquadro le stanze della dimora arraffando tutto ciò che di prezioso trovano: argenti, oro e denaro. Ancora pochi attimi e l’abate, dopo essere stato liberato, vede fuggire nel buio tre figure. Impaurito, cerca di scorgere nell’oscurità i suoi aggressori dei quali però non c’è più traccia. È chiaro che i tre pellegrini altro non erano che briganti che avevano approfittato della generosità del religioso per derubarlo delle sue ricchezze.
Un fatto che Gadaleta non vuole far passare impunito e denuncia il tutto al re Carlo III di Borbone che prontamente dispone l’arresto e l’uccisione dei colpevoli. Qualche tempo dopo, i tre briganti vengono individuati e catturati. Tutto viene predisposto per l’impiccagione: proprio sul luogo del misfatto si alzano le forche e si scelgono tre alberi di ulivo dove essi verranno appesi. Molti sono giunti dalle città vicine per assistere all’esecuzione che avviene rapidamente. Nel punto dove ancora pendolano i corpi ormai morti dei tre condannati viene posta una lapide con su scritto: «Il 4 luglio 1749 re Carlo III di Borbone fece in loco Alberini, impiccare tre ladroni: M. Arceri, A. Cariati, C. Piturro, a tre alberi di ulivo».
Giustizia era stata fatta, ma da allora quel posto non sarebbe stato più lo stesso, tanto da meritarsi il nome di Macchia delle Forche.
Secoli dopo, un turista in vacanza in Puglia, durante un’escursione tra gli uliveti secolari, si imbatte in una struttura fatiscente, coperta da sterpaglie e in evidente stato di degrado. Una struttura che non nasconde le pareti deturpate da scritte di ogni genere, priva di porte e all’interno della quale vige ovunque un vero e proprio scempio. Nonostante l’aspetto poco accogliente, l’uomo decide di addentrarsi in quella che un tempo era stata una dimora sfarzosa. In una delle sue stanze scorge un caminetto molto particolare e non resiste alla tentazione di scattare una foto.
Quello che apparirà in seguito sull’immagine è sconcertante: si nota chiaramente una figura maschile vestita elegantemente. Questo è solo uno dei tanti episodi inspiegabili legati a quel luogo. Da tempo circolano voci strane su quell’edificio dove pare che, decenni addietro, siano stati impiccati tre ladri che avevano derubato il padrone di casa. Sono soprattutto ragazzi alla ricerca di divertimenti alternativi a recarsi di notte lì dove si sentono misteriosi rumori che riecheggiano nel silenzio notturno e si scorgono sagome oscure che girovagano per l’edificio. Facile, comunque, che nascano simili leggende legate a un luogo così antico e ormai in disuso, teatro, in tempi passati, di fatti tragici. Gli episodi inspiegabili, però, proseguono nel loro diffondersi.
La storia giunge alle orecchie dei ghosthunters dell’Associazione Nazionale Ricercatori del Mistero che nel 2014 si recano sul posto trascorrendo un’intera notte a cercare, servendosi della giusta strumentazione, qualche prova tangibile di presenze spiritiche. È soprattutto al primo piano che si avverte qualcosa di insolito, come suoni simili a quelli prodotti da mobili che si spostano e temperature che improvvisamente si abbassano. Le registrazioni audio visive che verranno analizzate e diffuse in seguito riporteranno elementi importanti che confermerebbero le tante leggende legate a Torre Navarino. In particolare, sono state captate tre voci, di timbro diverso e facilmente distinguibili, che pronuncerebbero frasi come “Io sono allo…”, “Non dissi mai…”, e tra le quali spunta la più inquietante emessa da una voce roca e profonda che alla domanda “Con chi ce l’hai?” risponde “Con tutti”, alle quali si aggiungerebbero anche termini dialettali locali come “Vattin”, ossia vattene.
A questo punto, non resta da chiedersi se tutto ciò, insieme alle varie testimonianze, può bastare a dimostrare che l’antica casa dell’abate Gadaleta, ormai abbandonata a se stessa in uno stato di degrado assoluto, sia stata occupata da oscure e misteriose presenze. Se così fosse, a chi appartengono quelle voci? Forse ai tre briganti? Interrogativi che per ora rimangono senza risposta, mentre quegli strani suoni vocali, a detta di molti, continuano a riecheggiare nelle stanze vuote dell’enigmatica Torre Navarino.
Giovanna Ciracì