“AroundTheCorner”: Referendum Costituzionale e Turchia. Cosa sta cambiando?

Appena una settimana fa è “bastato un Evet (Sì)” per cambiare le sorti della Turchia, in occasione del Referendum Costituzionale.

Accentramento dei poteri nelle mani del presidente e, dunque, il passaggio da un sistema di tipo parlamentare a uno di tipo presidenziale, maggiori poteri, in particolare sulla Corte Costituzionale (nomina di 12 giudici su 15) e, infine, potere di nomina su ministri e su alti funzionari, di sciogliere il parlamento, di dichiarare lo stato d’emergenza. Chiaramente non possono essere sovrapposti i due referendum costituzionali, quello italiano e quello turco, per ragioni legate sia alle contingenze che alla cultura politica del paese, se non per quell’aspetto centrale all’interno delle due riforme: ossia la sostanziale ed evidente volontà di certi personaggi di consolidare il proprio potere attraverso una verticalizzazione delle figure istituzionali.

Il risultato, però, è stato molto diverso rispetto a quello verificatosi in Italia. Il “Sì”, sostenuto dal partito di governo AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) e dal partito di opposizione MHP (Partito del Movimento Nazionalista), ha prevalso di misura sul “No”, espressione dei partiti CHP (Partito Popolare Repubblicano) e HDP (Partito democratico dei popoli), con un 51% che ha fatto molto discutere. Non sono mancati i ricorsi: pare, infatti, che l’opposizione abbia provato a contestare “almeno il 37% delle schede dopo che il Consiglio elettorale supremo (Ysk) ha autorizzato, per la prima volta in Turchia, il conteggio tra i voti validi di schede non timbrate, salvo esplicite prove di frodi” (“il Piccolo”). Un equivalente di 2,5 milioni di voti contestabili, sebbene la Commissione abbia dichiarato che tutte le schede erano state considerate valide.

In Turchia si è verificata la condizione per cui una metà del paese ha imposto una forma di governo all’altra metà del paese. Una questione poco raccomandabile per il proseguimento di una solida democrazia se poi si aggiunge che, a partire dal mese di Luglio 2016, il paese vive le conseguenze di uno stato di emergenza che ha permesso a Erdogan di inasprire il dibattito pubblico, dichiarare fuorilegge i partiti di opposizione e disseminare il terrore tra chi, in una democrazia vecchio stampo, avrebbe avuto il diritto di pensarla diversamente.

Quello su cui ci si interroga è: si può parlare di democrazia quando tali fenomeni vengono legittimati da espressioni di voto (democratico)?

Difficile esprimere un giudizio in merito. Ipotizziamo che, alla luce dei fatti, la popolazione potrebbe aver avuto la necessità di esprimere un voto di “paura”, per placare il leader della mezzaluna e consegnargli il bramato modello di governo «che esalta la retorica dello scontro, della trincea, dell’esclusione dell’altro e dell’arroccamento del noi» (LimesOnline). E potremmo anche immaginare che coloro che avrebbero permesso all’a- sticella di tentennare verso il “No” sono quasi tutti dietro le sbarre o in ben altri luoghi, a noi occidentali, sconosciuti.

Sevim Dagdelem (Die Linke), intervistata, ha denunciato l’incalcolabile giro di denaro che si cela dietro il voto turco (“La Repubblica”):

«Credo ci sia d’un lato la forza di questa rete di Erdogan e del suo partito Akp e delle moschee e dei circoli religiosi Ditib che peraltro hanno organizzato pullman di elettori portati nei seggi a votare. Hanno i soldi del governo, hanno molti più mezzi dell’opposizione. Inoltre penso centrino fattori biografici, familiari».

Erdogan, intanto, ha ricevuto complimenti e onorificenze dai colleghi Trump e Putin. Il primo tra tutti è stato proprio il presidente statunitense. Si sa, “il nemico del mio nemico, è mio amico”, è una logica vecchia quanto il mondo. La Turchia attualmente ricopre un duplice ruolo strategico: potenziale detonatore della minaccia terroristica (secondo Giuseppe Acconcia, ingigantita dai mass media, ndr) e muro di contenimento dei flussi migratori. Due elementi che interessano, per antiche aspirazioni nel mediterraneo, proprio a Mosca. Notizia di pochi giorni fa, la NATO ha deciso di riconoscere la legittimità del referendum turco.

In Europa qualcuno, però, ha dubitato del risultato, come il ministro degli Esteri austriaco, Sebastian Kurz, che ha invocato la chiusura dei negoziati dell’UE con Ankara. Si sono espressi in maniera critica anche gli osservatori dell’Osce.

Sara Santoriello

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