La (im)mobilità a Roma

Tu chiamala, se vuoi, mobilità. È quel “se vuoi” che però fa tutta la differenza del mondo. Perché se sei la capitale del Paese, se vuoi recuperare anche solo una parvenza di efficienza dopo anni di disastri e disservizi, se vuoi attingere a piene mani da quel tesoro inestimabile che è il tuo patrimonio artistico-culturale e infine se vuoi sfruttare le belle giornate estive per fare il tutto esaurito di turisti… beh, alle 8.45 di mattina di un giorno feriale nella più grande stazione di autobus della città, Piazza dei Cinquecento, non possono esserci solo 4 mezzi pronti a partire. Mentre tutte le altre banchine sono piene di gente che attende speranzosa chissà quale segnale divino.

E più di un dubbio esiste nel credere che le vetture mancanti fossero in giro per le strade della città. Nell’era del 2.0 per qualsiasi aspetto della società, a Roma i trasporti pubblici sono sempre e soltanto all’anno zero che non progredisce mai. Non avanza. Tutt’altro: peggiora a vista d’occhio. Nel centro come nelle periferie. In autunno-inverno con il pienone di lavoratori o in primavera-estate con l’over-booking di turisti. Perché in fondo è una moda anche questa: l’eterno ritorno delle malattie degli autisti con il timing o dei mezzi in officina per un guasto qualsiasi.

Si potrà dire che questa mattina ci sarà stata una congiunzione astrale di fattori negativi. E allora noi non perdiamoci d’animo e riproviamoci domani. E domani l’altro. E l’altro ancora. Per capire se Roma, di (im)mobilità, voglia vivere (o morire).

Domenico Flore

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