Intervista a Salvatore Domolo, da prete vittima di pedofilia a uomo libero

Venerdì 8 settembre, all’Hotel Prestige di Montesilvano (Pe), è stato presentato il libro di Salvatore Domolo dal titolo “In Nomine Patris”, incontro organizzato da “Laboratorio informativo”. L’autore, già noto per le varie interviste rilasciate alle televisioni e giornali nazionali e internazionali, ha ripercorso brevemente la sua vita: dagli abusi subiti da un prete all’esperienza sacerdotale durata quindici anni, dai tentativi di suicidio fino alla libertà ritrovata. Nel libro quindi non si parla solo di pedofilia ma di un vero percorso dell’anima che lo ha portato a una piena consapevolezza. Gli abbiamo rivolto alcune domande per meglio conoscere la sua storia.

Qual è stata la necessità di scrivere questo libro?

«La prima necessità è partita dalle tantissime persone che mi chiedevano di scrivere un libro che riportasse la mia esperienza, l’inferno della pedofilia ma anche la libertà ritrovata. È un libro che consente di capire cosa si nasconde dietro a una struttura come quella della Chiesa ma non solo, anche cosa si nasconde dietro ad altre realtà quali la famiglia, la scuola e le strutture sociali».

La sua vita è stata caratterizzata da diverse fasi importanti, da uomo della Chiesa allo stato laicale. Cosa l’ha spinto a lasciare la Chiesa?

«Tutto parte da un’esperienza religiosa intensa legata alla famiglia che, avendo vissuto un grande trauma familiare, si sposta verso un’esperienza religiosa molto forte perché i preti invitavano ad affidarsi a dio. A sei anni ho iniziato a partecipare quotidianamente alla messa e alla preghiera; durante quelle esperienze, all’età di undici anni sono stato abusato. Quella violenza è diventata un pretesto per quell’orco di reclutarmi tra le fila dell’“esercito di Dio”, così come lo chiamo io. Il prete è riuscito a convincere mia mamma della bontà dell’idea di farmi entrare in seminario per diventare poi un prete. Chiaro che dall’abuso in poi non sono riuscito più a essere libero. In un capitolo intitolato “Il ragazzo disorientato” spiego bene come erano mia mamma, il prete e le mie sorelle a decidere della mia vita. A quattordici anni non ero assolutamente in grado di decidere che strada prendere. In seminario sono riusciti facilmente a plagiarmi soprattutto dopo aver confessato quella terribile esperienza. Tutto ciò si è trasformato in motivo di assoluta dipendenza dai superiori ovvero dovevo lasciare che fossero loro a dirmi cosa dovevo fare. Diventato prete, la situazione non è mutata poi radicalmente. Poi, la crisi: la consapevolezza che a quel prete imposto si affiancava un uomo che aveva diverse esigenze tra cui quella sessuale ha iniziato a farmi comprendere che qualcosa non funzionava».

La crisi l’ha portata quindi a fare delle scelte completamente diverse e opposte alle regole della Chiesa?

«La mia liberazione è durata dieci anni di lavoro su me stesso. Questo indica anche qual è il pasticcio interiore che viene compiuto da un abuso, ma anche dalla conseguenza di un dominio religioso e dall’imposizione di essere un dominatore sulla gente. Tutto questo doveva essere rivissuto, rielaborato per arrivare a una chiarezza molto più profonda: quel prete era comunque invischiato in un sistema che tende a dominare le coscienze. L’unica cosa che doveva essere mantenuta era l’uomo “Salvatore Domolo” liberandolo da tutte le strutture. A quel punto la coscienza libera permetteva di recuperare quello che fondamentalmente era il compito che il divino dentro mi aveva affidato, quello di aiutare la gente a liberarsi».

In questo periodo lei è stato minacciato, perseguitato per quello che ha rivelato?

«Sì, dopo un incontro delle vittime italiane a Verona nel settembre del 2010, a una conferenza stampa dove erano presenti 150 testate giornalistiche e televisive del mondo, avevo spiegato perché la Chiesa andava condannata da parte dell’Onu per i crimini di pedofilia. Infatti, il 5 febbraio 2014 la Chiesa è stata realmente condannata dall’Onu. Alcuni giorni dopo questa mia dichiarazione ricevetti una telefonata di notte in cui una voce maschile mi diceva di “stare attento, sapeva dove abitavo, la strada e la mia situazione”. Questa fu la prima cosa ma non diedi molto adito. La seconda invece, molto più precisa, quando ho scoperto atterrando all’aeroporto di Pisa (in quel periodo vivevo a Tenerife) che la Segreteria di Stato Vaticana mi aveva segnalato all’Interpol come persona pericolosa, per cui tutte le volte che atterravo in un Paese europeo venivo fermato e controllato come persona segnalata dalla Città del Vaticano. Sono piccole cose che però ti dicono come questo atteggiamento, questa verità sulla pedofilia e la persuasione occulta che la Chiesa esercita sulle coscienze genera molto fastidio e disagio. La Chiesa invece non è liberazione ma è imposizione del controllo e del dominio sulle coscienze».

Come ha ricordato, il 5 febbraio 2014 la Commissione Onu per i Diritti dell’Infanzia stilò un duro documento in seguito all’esame del rapporto della Santa Sede sul rispetto della Convenzione sui diritti del fanciullo. Tra l’altro si legge che la Chiesa ha cercato di coprire questi crimini con un codice del silenzio imposto a tutti i membri del clero.

«La verità è che la Chiesa non vuole risolvere il problema della pedofilia, quanto salvaguardare l’immagine. Per le vittime non è mai stato fatto nulla se non usarle dal papa come dimostrazione fattiva d’attenzione al problema: sono state usate per salvaguardare una facciata. C’è gente che vive con un disastro interiore che non viene risolto con cinquemila euro come è stato fatto per le vittime tedesche. Il Vaticano dovrebbe aprire gli archivi, renderli disponibili e verificare in tutto il Novecento tutto quello che si sa sulla pedofilia clericale e ciò che accadeva anche nei collegi femminili legati alla Chiesa cattolica. La verità rende liberi e la prima cosa da fare è ammettere che – dal Novecento in poi – i preti pedofili sono stati costantemente spostati in altre parrocchie per celare turpi crimini».

Lei è stato anche uno dei primi ex-preti al mondo che si è sbattezzato. Come mai questa scelta?

«Mi sono sbattezzato perché non credo più non solo nella Chiesa ma neanche nei sa cramenti, che considero un gesto compiuto per creare dominazione sulla coscienza e che non ha nulla a che vedere con il messaggio di Cristo. Inoltre i sacramenti sono anche dei gesti registrati che diventano atti civili. Pertanto, come uomo libero, voglio essere anche civilmente libero. Ma lo sbattezzo è anche un atto politico poiché gli aiuti dello Stato Italiano alla Chiesa cattolica sono anche conteggiati con il numero dei cattolici».

Come si sente oggi Salvatore Domolo e quali sono i progetti futuri?

«Mi sento molto bene. Oggi vivo il mio viaggio di nozze con la mia anima liberata con grande serenità. Godo di questa vita ricca di libertà e di incontri con persone che percepiscono questa libertà e mi chiedono aiuto nel trovare questa senso di leggerezza. Per questo vorrei realizzare un sogno: avere un camper per poter vivere una vita di strada, dipingendo e scrivendo libri».

Sta già lavorando al suo prossimo libro?

«Si intitolerà “Il canto della cicala” proprio per sfaldare e distruggere la favola di Esopo che ci ha rovinato la vita. Quella storia raccontataci in seconda elementare e che puntava all’assoluzione definitiva dell’esistenza umana: trasformarci in meri produttori, consumatori e risparmiatori. Questo stile, che è stato imposto con l’educazione, ci ha inseriti in una società del dominio. A questa favola di Esopo si oppone il canto della cicala, anima che ci invita a riappropriarci della nostra vita e godere del divino che è in ognuno di noi».

Sante Biello

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