Milano ha un problema con i giovani

La nuova generazione cambia Milano e i suoi spazi.

Ogni anno migliaia di giovani sotto i trenta anni da tutta Italia vengono attratti a Milano dalle molteplici opportunità, dallo stile di vita a metà tra nord Europa e Mediterraneo e per le eccellenti Università che si piazzano, anno dopo anno, in alto nelle classifiche italiane e internazionali. Anche io sono parte di questa nuova migrazione interna e sono ormai quattro anni che vivo nell’internazionale Milano: arrivato qui per aspirare, come tanti altri ragazzi della mia età, a una formazione di qualità che mi permetta di trovare lavoro dopo la laurea in Italia, senza troppi problemi.

È ormai noto che la città meneghina, reagendo in modo positivo alla crisi, stia riprendendo di anno in anno il protagonismo perso negli anni passati, divenendo una meta obbligata per turisti e investitori, lasciandosi alle spalle l’immagine di sorella brutta delle più influenti città italiane e divenendo il baluardo dell’innovazione culturale richiesta in Italia. È infatti nella città del bosco verticale e della moda prêt-à-porter, che migliaia di giovani trovano l’opportunità per formarsi, esprimersi o semplicemente per poter lavorare nei più svariati settori. Sono circa 17mila i giovani che si sono stabiliti ufficialmente a Milano nel 2016; mentre un’altra popolazione del tutto ufficiosa, poiché residente ancora nella propria città natale, è quella degli studenti fuori sede (che si aggira indicativamente attorno ai 30mila studenti: circa uno studente su otto). L’arrivo in massa di una nuova popolazione giovanile ha invertito il trend degli ultimi quindici anni che ha visto, tra la fine del secolo e il 2010, perdere quasi il 40% della sua popolazione (da due milioni a un milione e duecento oggi), mutando la vocazione economica e gli spazi nella città, dando il via a una richiesta sempre maggiore di abitazioni con la conseguente nascita di una bolla degli affitti che ha visto aumentare il costo medio di una stanza da € 300 nel 2014 a € 450 nel 2017. Le vecchie bacheche hanno lasciato il posto ai gruppi online di affittuari di case che riescono a fissare dai venti o trenta appuntamenti settimanali per l’affitto di una singola camera, con una scrematura delle richieste che avviene già dall’annuncio: il profilo comunemente indicato è quello di studentesse o giovani lavoratrici, con la richiesta anticipata di due affitti. Successivamente si procede alla visita della casa dove lo studente o studentessa è soggetto ad analisi da parte dei proprietari, o diversamente a colloquio con gli inquilini già insediati, che sceglieranno in base a canoni di valutazione ignota se poter far affittare o no la stanza. Per chi invece si affida ad agenzie la prassi è totalmente diversa: si passa dal colloquio con l’agenzia alla conseguente visita delle abitazioni e alla firma del contratto, con l’anticipo di ben tre o quattro mensilità, spese condominiali e spese dell’agenzia a carico di colui che andrà ad alloggiare nell’appartamento. Tutto ciò avviene senza alcuna salvaguardia per lo studente (sia per quanto riguarda il contratto sia per la protezione da terzi): questi appartamenti versano, perlopiù, in condizioni pessime, con mobilio di terza mano o servizi, come cucina e bagno, ai limiti delle condizioni igienico-sanitario adeguate alla legge. Una volta insediati, la vita non è facile in questi appartamenti: dai vicini di casa inflessibili che vedono i nuovi inquilini come invasori del loro spazio privato, fino alla mancanza di parcheggio per biciclette negli antri dei palazzi.

A tutto questo si aggiungono i costi esorbitanti dei trasporti per muoversi da Milano verso tutta Italia, un costo che si aggira mediamente attorno ai € 35 solo andata in treno da Milano a Roma e con picchi di oltre € 70 nelle festività.

Questi abitanti a reddito zero che si sono insediati nella città di Milano vivono un conflitto generazionale che non si ferma alle sole abitazioni, ma si diffonde in tutti gli spazi della città, iniziando dalle Università che una volta garantivano non solo un luogo di studio, ma anche un ambiente di costruzione di welfare sociale, di rapporti e confronti: valori messi da parte per fare spazio ai principi di “estetica” che svuotano di contenuto gli spazi per costruire una retorica della pulizia e della bellezza fine a se stessa (esempio banale è la biblioteca di architettura del Politecnico di Milano: all’ombra della maestosa riproduzione del “Guernica” di Picasso fatta dagli studenti nell’occupazione ’68, il nuovo arredamento ha previsto la sostituzione di gran parte dei tavoli da studio con dei divani di design che hanno dimezzato i posti in biblioteca).

La fragilità di questa generazione non si manifesta solamente attraverso la mancanza di spazi e reddito, ma anche dall’assenza di rappresentanza di politica base, vivendo una condizione da apolidi che non fa sentire “casa” il luogo in cui si vive poiché impotenti, in certi casi, di affermare i propri diritti. La sharing economy rappresenta un fattore influente nel consolidamento della precarietà di questa generazione: il successo delle app per ordinare cibo a domicilio fa parte di questa grande categoria che ha creato la nuova classe dei padroni che hanno la possibilità di avere sotto scacco tutto il loro esercito di dipendenti formati da studenti e precari con contratti senza minima salvaguardia e nessuna rappresentanza sindacale. Alcune parentesi di autoaffermazione attualmente sono in atto da parte di movimenti sociali autorganizzati, come l’esperienza in continua mutazione di LUME (Laboratorio Universitario Metropolitano) che ha occupato una vecchia osteria adiacente all’Università Statale di Milano per creare uno spazio di confronto critico con la città intera, producendo dalle serate Jazz, divenute in poco tempo appuntamento obbligatorio della movida milanese, all’atto provocatorio di disegnare una ciclabile nelle strade di Milano. Parabola di LUME, che si pensava terminata con lo sgombero da parte del Comune dell’osteria, ma che tutt’oggi cambia luogo liberando e ridonando alla città gli spazi abbandonati.

Ovviamente la politica manageriale del Comune di Milano è cieca di fronte alla nascita di queste realtà che rappresentano, non solo una frangia di innovazione dal basso totalmente disinteressata dalle dinamiche economiche, ma anche un valore aggiunto alla città che diventa non solo maggiormente attrattiva per le menti più creative, ma aggiunge anche punteggi alla qualità della vita dei cittadini, sia per le originali serate, ma principalmente per la flessibilità che hanno questi luoghi di essere sempre vivi durante il giorno mutando forma: divenendo ora aula studio, ora laboratorio teatrale o sala mostre. Esperienze simili, legali e non, sotto forma di circoli, nascono lentamente in tutta la città sotto il peso di cittadini bigotti e affitti proibitori, divenendo soggetti di emulazione da parte di quelle logiche del profitto relegate solo ai bar e ai ristoranti che creano muri e svuotano di contenuti le premesse di innovazione sociale tanto perpetrata.

A oggi l’importanza di fare spazio all’interno di questa città deve essere un obbiettivo per un investimento a lungo termine, affinché si formino le coscienze del futuro, per la costruzione di una società che non crei muri di classe, di razza o di cultura dato che la libertà passa anche in base a quanto supporto una società riesce a dare alle popolazioni urbane più fragili.

In questo mondo nuovo si chiede agli uomini di cercare soluzioni private a problemi di origine sociale, anziché soluzioni di origine sociale a problemi privati.

Pierluigi Di Florio

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