Idilio Galeotti, una storia romagnola di arte e politica
Idilio Galeotti ha un storia che si intreccia con la scuola di ceramica e il laboratorio politico sindacale italiano. Una passione che lo porterà ad allestire mostre molto importanti in giro per il mondo, ponendo al centro dei suoi lavori quella profonda abilità di analisi della fase e interpretazione dello scenario sociale.
Una delle ultime mostre è “Mutazioni esistenziali”, che ha preceduto “The Dark Side of The Moon” a Faenza, e ha ottenuto 1500 presenze in 20 giorni.
«Io lavoro soprattutto la ceramica e cerco di sviluppare dei progetti attraverso la ceramica, che è il mio mezzo espressivo, avendo studiato a Faenza… È stata esposta anche in Germania e anche lì ha riscosso un notevole successo. Ha una sua storia perché parte 6-7 anni fa; poi diventa itinerante e si modifica, si aggiorna, con nuove espressioni che sappiano cogliere l’attualità. Anche questo è arte: lanciare dei messaggi al pubblico attraverso le opere. L’arte ceramica e della terracotta spesso viene considerata un’arte decorativa, invece io la sviluppo in termini concettuali, ideali e contemporanei. Sviluppo attraverso delle figure delle creazioni, quella che è l’attualità. La gente spesso si meraviglia perché vede “un’idea”. Siamo in una società che ha perso molti valori, tra cui quelli dello stare insieme, della collettività. E quindi, secondo me, compito dell’artista è: dare quest’allarme. Io cerco di mettere in guardia perché senza un cambiamento ci sarà bisogno di una mutazione: una società che deve riappropriarsi del valore dell’uomo, piuttosto che appiattirlo. Le mie opere non sono drammatiche, portano sempre dei sorrisi».
“Liriche Visioni” l’ha preceduta: anche questa sullo stesso filone?
«Faceva parte del progetto “Intrighi Poliedrici”, maturato durante il mio progetto a Roma. Ho scritto un libro che si chiama “Intrighi nella capitale” dove ho sviluppato una storia di giallo, di thriller, ambientata a Roma. Un giornalista si trova a doversi rapportare col malaffare in cui era stato coinvolto, dove ci sono dentro tutti: la politica, la chiesa, ecc… I personaggi del libro emergevano in una mostra in maniera tridimensionale: c’era il libro e poi le sculture dei personaggi. C’era una correlazione con il passato. Il personaggio che si basava sui problemi aveva un alter ego, la sua forza interiore, si materializzava con la parte della fantasia. Per cui questa mostra aveva il sacro e il profano, però c’era anche un tunnel dove emergeva la parte della fantasia, in cui la musica era diversa. Sto, comunque, lavorando ancora su “The Dark Side of The Moon” riprendendo l’aspetto creativo-musicale dell’album dei Pink Floyd. Nel lato oscuro della Luna ho ritrovato il mio lato fantastico, cercando di lanciare un messaggio in positivo. Ma è anche il nostro lato oscuro, che non facciamo vedere ed è dentro di noi. L’arte non deve essere mai fine a se stessa ma deve lanciare dei messaggi».
Ha anticipato “Mafia Capitale”, insomma.
«Sì, in effetti, mi chiesero di ripresentarlo. C’è un po’ di autobiografico e molto di fantasia al suo interno».
Dove vanno i protagonisti dei suoi dipinti? Ci sono molte scene di fuga, è un leitmotiv.
«Li ho utilizzati solo in funzione del progetto. Dentro le istallazioni ci sono anche i dipinti. Erano legati al tema di “Intrighi poliedrici”, che attraverso il cupo fuggivano: il giornalista o rincorre qualcosa o fugge da qualcosa. In termini anche un po’ didascalici ho provato a far partecipare tutte le persone a quello che volevo dire. Il tema centrale è che pur di fronte alle difficoltà non ci si arrende. L’importante è cadere e sapersi rialzare. Ci si motiva in basse alle proprie esigenze, ma conoscendo il tuo vero obiettivo. Piccoli passi devono portare nella direzione giusta e non tornare indietro. Le difficoltà ci sono, si affrontano; necessitiamo di condizioni per ripararci».
Come è nato il suo impegno sociale e come si è avvicinato a determinati movimenti o associazioni? Qual è stato il discorso che l’ha portato a ricoprire incarichi di dirigenza in Cgil, sezione agroalimentare?
«Io ho iniziato fin da ragazzino a occuparmi di sociale. L’evento scatenante è stato il licenziamento di mio padre e di mio fratello per attività sindacale. Capii che c’era bisogno di dire di “no” e che dovevo dare un segnale forte. Seguii diverse categorie sindacali e poi sono stato Segretario Provinciale dell’Agroalimentare con oltre 7mila iscritti. Ho seguito alcune questioni che avevano un certo rilievo nella provincia di Ravenna: facemmo una denuncia molto forte in quel periodo per la storia di alcuni lavoratori polacchi. Quando si parla del Caporalato, si pensa che sia soltanto un problema del Sud ma non è così. Feci una denuncia fortissima. Il livello nazionale mi conosceva già ma mi propose, comunque, di dare una mano a Roma, dove sono rimasto 8 anni e dove ho occupato diversi incarichi, ricoprendo il settore agricolo alimentare. Ho fatto poi il responsabile nazionale dell’organizzazione: dovevo organizzare l’attività nazionale della CGIL e indicare ai territori come dovevano lavorare e come si fa il sindacato. Ho fatto più di 5mila corsi di formazione, cercavo di essere sempre nei territori e volevo vedere come lavoravano. Poi, ho avuto un incarico europeo nella Commissione Cultura. A un certo punto, mi son reso conto che stavo perdendo il mio rapporto con le persone. Ho lavorato anche un po’ con Epifani e la Camusso, ma soffrivo dell’assenza di contatto con la gente. Tornai sul territorio e ritrovai la vertenza Oms Calzature, gruppo Golden Lady: feci una battaglia tremenda. La vertenza non doveva restare sul piano locale ma doveva spostarsi sul piano nazionale: creai un corso musicale per le lavoratrici, le portai in tv, ogni giorno si parlava male dell’azienda. Oggi quasi tutte le lavoratrici sono state ricollocate in una nuova azienda. In questo momento sto seguendo “salute e sicurezza sui temi del lavoro”, in particolare in materia di amianto, coinvolgendo le scuole».
L’arte promuove il territorio: AmbientArti ha un po’ questo obiettivo. Diversi artisti si uniscono per promuovere nuove forme d’arte.
«La nuova associazione si chiama ICS Fectory Art, riprendendo la factory di Warhol. L’abbiamo utilizzato per un senso di provocazione. Come presidente sto cercando di organizzare una mostra con diversi artisti. Lavoriamo in modo trasversale con la musica, con il teatro, con la scultura e la poesia. Non siamo un’associazione che si seleziona al suo interno: noi vogliamo includere. Chiunque metta in campo un qualcosa di creativo è una mente che pensa e che vuole migliorare la società che gli sta intorno. Molti artisti vengono anche da Milano e da diverse altre parti d’Italia, alcuni stranieri. È un insieme di forme d’arte che si sta estendendo molto rapidamente. A ogni mostra diamo un tema, che ha una sua particolarità nel voler coinvolgere la gente. Se la gente non va a vedere l’arte, noi ci mettiamo in mezzo alla gente e sfruttiamo anche alcuni spazi che solitamente sono chiusi. Con l’iniziativa Campo Dell’Arte abbiamo coinvolto il Liceo Artistico di Bologna sul tema dell’amianto. In tutte le cose che faccio ci metto passione».
Lei è un romagnolo ed è cresciuto in questo territorio. Come ha influito sulla sua formazione l’essere nato e cresciuto in un luogo che ha visto nella propria storia tante esperienze di autogoverno e di autodeterminazione?
«Io ho assorbito molto. Questo senso da un lato di voglia di giustizia che c’era, un senso forte del sociale e, però, il romagnolo ha anche la voglia di divertirsi, la creatività. Siamo un po’ felliniani. Questa passione, questa voglia di fare e di avere giustizia ho provato a portarle con me nei vari incarichi che ho avuto. È una zona anche un po’ anarchica, dove c’era la voglia di essere scollegati dai poteri. Da un lato lo stato pontificio e dall’altro una forza di opposizione. Qui ci sono stati molti preti che si sono ribellati alla chiesa (come don Giovanni Verità). Ho, però, girato molto e posso dire che ovunque sono andato ho sempre cercato di relazionarmi con la persona, non con l’ambiente sociale. Ho sempre trovato molte persone con la voglia di migliorare. Al sud ci sono tantissime potenzialità, non tutti si arrendono al sistema. Bisogna uscire dagli stereotipi. Il romagnolo è un animale particolare: mette insieme il lavoro ma anche lo stare insieme».
Alla luce dell’aspro dibattito politico a cui stiamo assistendo, in virtù dei numerosi ricordi del ventennio che si trovano in Italia. Gli organi politici non riescono a superare quella impasse che impedisce soluzioni e vie d’uscita. Secondo il punto di vista di un artista come lei, bisognerebbe preservare l’arte oppure ricostruire per non dover ricordare?
«Noi non dobbiamo buttare giù l’esistente. La storia deve essere ben visibile per ricordare. Ho visitato molto la Germania negli ultimi anni: non nascondono il nazismo che c’è stato. Hanno ricostruito un parco per bambini proprio sopra il bunker, ma la gente sa che sotto c’è ancora. Non potremmo fare altrimenti: la storia va raccontata, non va nascosta. Va spiegato il percorso storico che ha portato a ciò che siamo oggi. Cosa ben diversa sono le manifestazioni che si ripropongono attraverso le frange neo-fasciste, che mettono in discussione quello che è il sistema costituito attraverso la Resistenza e la Costituzione italiana, non riconoscendo il sistema democratico e l’antifascismo. Per me è sbagliato non ricordare e togliere, magari lo ricordi di più vedendolo e c’è occasione per parlarne. Non si dà l’educazione togliendo ma insegnando».
Quale consiglio darebbe al ministro Franceschini?
«Che non ci sono solo le grandi strutture. Occorrerebbe dare anche alle piccole realtà delle opportunità. A me piacciono i processi che partono dal basso. Vorrei capire se Franceschini si rende conto che abbiamo tanta cultura nelle piccole realtà, anche a Sud. Delle cose meravigliose e inestimabili, che spesso sono lasciate sole a se stesse. Bisogna ripartire dal basso e assicurarsi un sostentamento per le piccole realtà. Noi dobbiamo diventare il “paradiso terrestre” del mondo e imparare a investire sulle nostre potenzialità ed educare alla bellezza. Nutrirsi di bellezza fa bene alle singole persone. Di lavoro ce n’è molto da fare».
Sara Santoriello