Luciano Fontana
Nel corso della storia, i Movimenti o le più significative rivoluzioni storiche sono ricordate per via dei loro rispettivi laeder che ne hanno saputo cogliere il senso popolare e civile. Nella fenomenologia di Max Weber un qualsiasi capo per assumere davanti a quelli che sarebbero divenuti suoi seguaci non doveva necessariamente possedere un sostegno economico o possedere specifiche ed elette virtù: esso era essenzialmente un dono di grazia e grazie ad esso il laeder infonde sulle masse una fiducia nuova, insperata ma necessaria a far si che venga creato quel processo di personalizzazione identificativa della sua persona con lo stesso suo potere e con la sua stessa personalità.
Chi sia oggi degno del nominativo illustre ma a tratti scomodo di “laeder” è un quesito che si è posto il Direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana nell’ultimo suo volume edito da Longanesi dal titolo “Un paese senza Laeder”.Storie, protagonisti e retroscena di una classe politica in crisi”. Fontana, con questo nuovo titolo, analizza minuziosamente l’attuale situazione politica italiana a pochi giorni dalla prossima tornata elettorale, tornata da cui un intero paese si aspetta un ordine duraturo di leaderschip e di consenso troppe volte non consolidato, frammentario e confusionario. Più in particolare, Luciano Fontana analizza le principali personalità che si sono divise tra incarichi di partito e che sono giunte ad assurgere incarichi apicali, dal Segretario di Partito sino alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Renzi, Berlusconi, Salvini e Grillo, agli occhi di tutti figure inopinabili di laeder, sono stati e sono politici riconoscibili come trascinatori di masse? A questa domanda il Direttore del Quotidiano storico di Via Solferino ha risposto con il volume presentato lo scorso 14 luglio a Palazzo Mezzacapo in Maiori, ospite del Festival Letterario “Incostieraamalfitana”, fondato e diretto da Alfonso Bottone. Con il Direttore Fontana, oltre al Patron Alfonso Bottone, hanno preso parte alla tavola rotonda il Giornalista del Mattino Marcello Napoli e la scrittrice Benedetta Cosmi, autrice del volume “”E ‘il futuro, bellezza” (Lavoro Edizioni).
-Direttore, nel suo libro Lei affronta con stile saggistico e giornalistico quale sia stata l’epopea (a volte mancata) di certi Leader della nostra politica. Lei analizza una questione particolarmente interessante a livello storico: la frammentazione del centrosinistra. Esiste un filo rosso che unisce questa frammentazione (che lei analizza specificamente in due capitoli del libro “Centrosinistra, fuoco amico” e “Centrosinistra, tutti giù per terra), dai tempi della scissione di Palazzo Barberini del luglio 1947 alle frammentazioni attuali? Mi riferisco, in particolare, alla spaccatura Dem che vide sfumare l’ipotesi della candidatura di Prodi al Quirinale voluta da Pier Luigi Bersani e che diede inizio alla crisi interna del Partito Democratico..
-C’è un filo rosso anche se c’è stata un’accellerazione nell’ultimo periodo; il filo rosso è che a sinistra c’è un assolutismo delle posizioni per cui alla fine chi a sinistra ha una posizione diversa normalmente fa una scissione e fonda un partito e si occupa generalmente nella sua attività successiva di prendere di mira meno gli avversari e più gli ex compagni di viaggio. Tutto questo lo abbiamo visto nel mondo della sinistra, nelle varie vicissitudini che hanno portato a diverse scissioni tra socialisti e comunisti. L’accellerazione è dovuta al fatto che dopo la fine del Pci che aveva una struttura organizzata forte, forti leader ed un metodo di gestione del partito fondata sul centralismo democratico che tendeva a contenere le spinte di separazione. Tutto questo è saltato, nascono partiti a cui si giustappongono differenti situazioni posizioni, differenti provenienze, rivalità e competizioni molto forti. Questo porta a formazioni fragili che vedono nella competizione personale un elemento che fa spesso deflagrare. Lo abbiamo visto con le esperienze di governo.
-In “Un paese senza leader”, lei ha analizzato diverse personalità, molto differenti se non opposte fra loro. Politici che hanno fatto una scalata ricoprendo le più varie posizioni all’interno dei partiti sino ad assurgere posizioni di Presidenza e di comando. Analizzando Berlusconi e Salvini il tratto comune che si potrebbe individuare tra i due è una chiara “personalizzazione” della politca e l’indentificazione del consenso nel culto della propria immagine. I leader (o presunti tali) che Lei ha descritto, Renzi, Berlusconi, Salvini, Grillo Di Maio ed altri, politologicamente sono personalità diverse tra di loro o qualcosa in comune la hanno (sembrerebbe strano) anche loro? In cosa potremmo ravvisare un potenziale tallone d’Achille nelle loro strategie?
-Il tratto comune è, senza dubbio, la personalizzazione , il rapporto diretto tra il laeder ed il suo popolo, la costruzione di un rapporto diretto e dello smantellamento di tutte quelli che erano i corpi intermedi che facevano da formazione e da “cuscinetto” tra la laederschip e i cittadini, tra il politico e la gente che si riconosceva in quel politico. Berlusconi lo ha fatto tramite le televisioni, Salvini, Di Maio ma lo stesso Renzi lo hanno fatto sia con la televisioni e sopratutto, in ultima fase, con i social network e con gli strumenti che metteva a disposizione la rivoluzione digitale. Questo da una grandissima forza nella formazione del consenso, un pò meno nella funzione di trasformazione di governo perchè il leader solo al comando è un laeder che difficilmente costruisce una classe dirigente ben estesa, razionale; è un leader che tende a sottovalutare le competenze e le professionalità nei diversi settori e molto spesso manca il rapporto con tutte quelle formazioni organizzate che servono a governare la società. Di diverso c’è, dal punto di vista sopratutto del Movimento 5 Stelle, un uso intenso di quelli che sono gli strumenti del web e la costruzione di un’ideologia in cui alla fine il leader nemmeno serve più. In questo momento c’è un Presidente del Consiglio che si è autodefinito “avvocato del popolo”; è un’ideologia in cui la gente entra direttamente al potere secondo me non è tanto realistico perchè in una formazione di questo genere alla fine c’è sempre qualcuno che decide al posto del popolo.
-Esiste dunque, Direttore, una democrazia del web?
La questione della “democrazia diretta” diffusa dal web è, secondo me, un’ideologia completamente falsa; la democrazia diretta non è mai esistita se non forse nella società ateniese, una società molto limitata. Perchè la democrazia sia democrazia deve essere rappresentativa secondo le forme decise dalla Costituzione liberale e democratica. Per cui non esiste altra democrazia che la democrazia rappresentativa. Oggi il nostro paese ha bisogno di politici che vogliono rispecchiarsi esattamente nei propri lettori con un’adesione immediata e non misurata dal numero di followers e condivisioni su Facebook. Un politico, secondo me, non deve essere lo specchio del proprio elettore rispecchiandone le passioni, i pregiudizi, le debolezze,ma deve indicare una strada, un progetto.Un politico deve semplicemente “essere migliore” di me; deve sapermi indicare una direzione e sapermi trascinare da qualche parte possibilmente positiva. Queste due tendenze devono essere combattute ricostruendo un tessuto di partecipazione e di formazione da parte del giornalismo aderendo ad un’idea di fattualità, oggettività, indipendenza e rispetto del pluralismo delle opinioni fondate, non urlate. Questo modus operandi è l’unica speranza di conservazione di un ruolo del giornalismo di qualità e di formazione della classe dirigente di un mondo che è spesso oltre che frammentato anche parziale, falso (il dibattito sulle fake news lo ha dimostrato) e che tende ad esasperare le posizioni piuttosto che a trovare quei ragionevoli compromessi che sono il sale delle trasformazioni.
Il riformismo graduale, fondato, oggettivo, fatto di passo dopo passo è quello che normalmente cambia le società.
Stefano Pignataro