Carloforte e il “tabarchino”, quando la lingua è identità storica.
Carloforte è l’unico centro abitato dell’Isola di San Pietro, a Sud Ovest della Sardegna. Dei suoi 6.200 abitanti circa l’ 86% parla il Tabarchino, testimonianza della loro storia e delle loro radici.
Può succedere che arrivi in una piccola isola a Sud Ovest della Sardegna, il traghetto ormeggia di fronte al corso e tu ti avvii verso la piazza, il cuore del paese. Può succedere ancora che sotto quattro grandi “Ficus” ci siano dei sedili con degli anziani seduti. Può accadere che senti parlare quei signori in dialetto. Tutto normale direte voi, come in ogni altro piccolo centro della Sardegna. Quello che è norma si trasforma presto in eccezione, ci sono anche delle giovani madri, con dei bimbi, in quella piazza e tutti parlano in dialetto. Forse sarebbe già abbastanza per far pensare a qualcosa di “diverso”, se non che quello che stai ascoltando, in un piccolo paese di una piccola isola a Sud Ovest della Sardegna, non è “sardo”. L’isola è quella di San Pietro, il paese, unico centro abitato, è Carloforte. Il dialetto, o meglio la “lingua”, è il TABARCHINO.
Per meglio capire dobbiamo fare
un passo indietro nel tempo: siamo nel 1542, nella riviera ligure di ponente,
più precisamente a Pegli. Da li, a seguito, e per conto, della ricca famiglia
dei Lomellini, stanno partendo delle persone provenienti dalla stessa Pegli e
da altri posti della Liguria. La destinazione è la piccolissima isola di
Tabarca che si trova in prossimità della costa tunisina, lo scopo è la pesca
del corallo.
Su quello che è poco più di uno scoglio i coloni vivranno per circa due secoli,
pescando corallo e, stagionalmente, tonni. In questi due secoli il legame con la Liguria
non viene mai spezzato, sia per motivi commerciali che per vincoli parentali.
Il cambiamento degli equilibri internazionali, il venir meno del benestare
dell’impero ottomano, il sovrappopolamento ( Tabarca poteva ospitare un massimo
di mille persone mentre ne vedeva già più di duemila), spingono i tabarchini a
cercare altre terre in cui avere un futuro migliore. Il caso volle che il re si
Sardegna, Carlo Emanuele III, avesse deciso di popolare alcune parti della
grande isola, tra questi territori vi è un’isoletta totalmente disabitata. A i
tabarchini interessa un posto dove ricominciare, al Re chiudere a Sud Ovest un
ideale fronte contro i pirati barbareschi.
Siamo arrivati al 17 Aprile del 1738, quando un nutrito numero di persone provenienti
da Tabarca e alcune famiglie provenienti da Pegli, sbarcano nell’ Isola di San
Pietro e iniziano a fondare Carloforte, nome scelto in onore di Carlo Emanuele
III.
Tralasciamo le varie vicissitudini che hanno caratterizzato la storia di questa comunità ( è in corso l’iter per il riconoscimento da parte dell’ UNESCO della “epopea tarbachina” come bene immateriale dell’umanità).Fatto sta che gli abitanti di Carloforte si dicono ancora “tabarchini” e parlano la lingua di quella gente che tanto ha lottato, una sorta di dialetto genovese, arricchito da varie contaminazioni linguistiche.
Abbiamo contattato il Professor Fiorenzo Toso*, linguista ligure, docente dell’ Università di Sassari e autore di vari scritti sul tabarchino,nonché curatore dell’ importantissima “Grammatica del tabarchino” che ha messo ordine nelle regole, sino allora non scritte, della lingua di Carloforte e Calasetta ( piccolo centro nell’isola di Sant’ Antioco, con storia analoga a Carloforte ma con percentuali minori di parlanti).
Professor Toso, iniziamo dai numeri. Quanti sono quelli che, a Carloforte, parlano il Tabarchino?
Secondo un sondaggio effettuato nel 2006, che presto replicheremo, abbiamo dati che parlano, per Carloforte, di un 86,7% di locutori, con un 84% di giovani tra i 15 e i 34 anni solidamente ancorati all’utilizzo del tabarchino, e di una distribuzione omogenea di parlanti per sesso, classe sociale e livello di istruzione: anche il 13,3% di persone che non parla il tabarchino lo capisce, e il sardo risulta compreso (ma non parlato!) da un esiguo 12,2%. Chi viene dal resto della Sardegna, così, deve per forza adattarsi. le statistiche parlano di un uso prevalente del tabarchino, rispetto all’italiano, non solo in famiglia, ma anche al bar, nei negozi e negli uffici. Devo puntualizzare che tanto stanno facendo le scuole, non tanto per insegnare la lingua, che sarebbe inutile, ma per tramandare attraverso di essa la storia, la geografia locale, la memoria collettiva, per informare sulla realtà quotidiana e sui problemi dell’isola.
Possiamo parlare del Tabarchino come di una lingua viva?
Assolutamente si, per Carloforte e Calasetta, se pur quest’ultima ha percentuali inferiori di locutori, non parliamo di una specificità linguistica tenuta in piedi a fatica e artificiosamente da pochi cultori.
Le due comunità non sono racchiuse nel loro passato ma vivono la contemporaneità senza complesso alcuno. Il Tabarchino inoltre è in continua e evoluzione adattandosi ai tempi, questo è il vero indice che ci conferma la vitalità di una lingua.
Il Tabarchino, lingua o dialetto?
La comunità scientifica è concorde nell’attribuire ai tabarchini la qualifica di “minoranza linguistica storica”, mentre al controversa L.N 482 del 1999 ha negato loro l’ufficialità. Carloforte e Calasetta sono gli unici comuni in Sardegna a non essere ammessi a una doverosa tutela di un patrimonio linguistico, che almeno finora (e qui il paradosso rasenta la farsa) la legislazione regionale riconosce come parte integrante della specificità sarda. Nessuna proposta, interrogazioni parlamentari, emendamenti, susseguitosi negli anni sono riusciti a scalfire il muro di gomma che la lobby delle minoranze riconosciute ha opposto la riconoscimento del tabarchino escludendolo dalla tutela.
Fiorenzo Toso (1962) è professore associato di Linguistica generale all’Università di Sassari. I suoi interessi vanno dalla dialettologia della Liguria, sua regione d’origine, allo studio dei fenomeni di insularità e contatto linguistico, dalla lessicografia (come collaboratore del Lessico Etimologico Italiano) alla riflessione su temi sociolinguistici, con particolare riferimento alle minoranze. Tra le sue opere più recenti, Lingue d’Europa (Milano, Baldini e Castoldi 2006), Le minoranze linguistiche in Italia (Bologna, Il Mulino 2008), Linguistica di aree laterali ed estreme (Udine, Centro Internazionale sul Plurilinguismo 2008).
Carloforte vanta un alto numero di associazioni culturali che, tra le altre cose, lavorano per mantenere vivo l’interesse delle sue peculiarità storiche e culturali. Tra esse la più giovane è la “Asuciasiun cultürole tabarchiña” ( associazione culturale tabarchina), che, assieme al Comune di Carloforte, ha istituito lo “Spurtéllu da lengua tabarchiña” ( sportello della lingua tabarchina).
Chiediamo al presidente, Andrea Luxoro*, come è nata l’associazione, quali sono i suoi scopi e cosa è lo “sportello della lingua tabarchina”
La nascita dell’associazione “ asuciasiun culturole tabarchina” e quella dello “sportello linguistico del tabarchino” sono strettamente legate. L’associazione nasce nell’ottobre del 2017 grazie ad un piccolo gruppo di cultori della lingua tabarchina e si propone di fare sintesi di tutte le esperienze precedenti sulla variante linguistica delle isole sulcitane. La promozione e la valorizzazione del tabarchino rappresentano il primo obiettivo del nostro lavorare insieme; fra noi ed in sinergia con le altre associazioni del territorio. Strumento principale dell’azione comune è la divulgazione delle regole ortografiche e grammaticali del tabarchino, così come si definirono circa vent’anni fa a seguito delle pubbliche assemblee fra studiosi e cultori locali di Carloforte e Calasetta, supportati dalla consulenza scientifica del prof. Fiorenzo Toso. L’adesione delle due comunità sulcitane rappresenta un traguardo significativo in ambito linguistico – rispetto a quanto accade per altre lingue locali – ma si è in ogni caso reso necessario uno sforzo ulteriore per la diffusione capillare fra la popolazione che scrive in tabarchino delle regole stesse. A questo scopo ci si rende disponibili verso l’amministrazione comunale per l’istituzione, a pochi mesi dalla fondazione dell’associazione, lo sportello linguistico tabarchino, che anticiperà nei presupposti e nelle attività l’idea di sportello linguistico così come previsto testo unificato N. 36-167-228/A che disciplina le politiche linguistiche della regione Sardegna. Lo sportello supporta l’amministrazione nelle questioni linguistiche per l’onomastica la toponomastica e l’eventuale traduzione di atti ufficiali; informa il cittadino e tiene regolari corsi di scrittura. Lo sportello inoltre supporta studiosi e laureandi nel reperimento di informazioni e materiali. l’associazione promuove inoltre ogni anno la giornata della lingua tabarchina, il 21 febbraio in occasione della giornata internazionale della Lingua Madre dell’UNESCO.
Quali sono le iniziative in corso d’opera e quali quelle previste?
L’associazione quotidianamente eroga anche attraverso i social media, supporto ortografico; si traducono opere della letteratura italiana e internazionale; si raccolgono materiali dalla tradizione orale. Gli obiettivi per il prossimo futuro sono la creazione di una applicazione per la traduzione dall’italiano al tabarchino ed in collaborazione con l’università di Sassari un nuovo sondaggio sulla tenuta dell’uso del tabarchino a vent’anni dal precedente. In particolare l’associazione ha aderito con convinzione al progetto Ràixe -per la costituzione dell’archivio digitale della cultura tabarchina, curato dalla Cooperativa Millepiedi, per il quale ci occuperemo della consulenza linguistica e delle traduzioni. Infine vorrei lanciare un invito a scrivere in tabarchino opere inedite, la nostra giovane letteratura ha bisogno di crescere in qualità e quantità, sono convinto che anche questo strumento possa aiutare al mantenimento del nostro patrimonio linguistico e contrastare l’impoverimento lessicale derivato dalla convivenza con la lingua nazionale.
* Andrea Luxoro conseguita la maturità scientifica si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia dell’ Università di Cagliari. Segue i corsi dell’indirizzo socio – antropologico, si laurea in Storia delle tradizioni popolari con una tesi sperimentale dal titolo “I lavoratori del mare di Carloforte”. Appassionato di studi demologici, ha curato in particolare una ricerca sul carnevale tradizionale carlofortino inedita; svolge ricerche sul ciclo delle feste tabarchine e sulla letteratura orale carlofortina.
Inoltre la lingua tabarchina viene diffusa e fatta conoscere anche attraverso gruppi e pagine FB, come “Pe Nu Perde U Tabarchin” (per non perdere il tabarchino), pagina che conta oltre 2.000 like e numerosi post con relative discussioni, delle piattaforme internet “Carloforte – Isola Di San Pietro Project”.
In conclusione possiamo dire che il “Tabarchino”, pur non avendo ancora conseguito un riconoscimento ufficiale come “minoranza linguistica storica”, ha il supporto di linguisti, scuole e associazioni. Soprattutto va sottolineato il fatto che, tutt’oggi, una buona parte dei genitori tende a parlarlo ai propri figli. Oltre all’invito del presidente Luxoro va fatto anche quello di considerare il “ Tabarchino”, e ogni dialetto o lingua minore, come ricchezza intellettuale e valore aggiunto per la formazione culturale di ogni generazione.
In chiusura d’ articolo citiamo il poeta siciliano Ignazio Buttitta (Bagheria, 19 settembre 1899 – Bagheria, 5 aprile 1997) che, in una sua poesia in dialetto, dice:
“Un popolo diventa povero e schiavo quando gli rubano la lingua ricevuta dai padri, è perso per sempre”
Antonello Rivano