“CROCE E DELIZIA”.
Carlo, vedovo, terragno pescivendolo dello sprofondo romano, ma sensibile e intelligente, a dispetto dell’allure esteriore, e Tony, raffinato antiquario, benestante e notorio bon vivant, tombeur, bisex, un po’ sull’anarchico e sull’egoista, non potrebbero essere più diversi: loro stessi e le loro famiglie. Eppure…non solo stanno insieme, ma hanno deciso di comunicare il loro matrimonio alle persone più care. Embé: che vi debbo dire? A me questo film (ITA, 19) è piaciuto. Mentre buona parte della critica dei giornaloni (non tutta), ha storto il naso e/o l’ha definito con una qual moralistica pretenziosità, come se si trattasse della “solita” sbobba commediale, fatta con attori di richiamo ecc., il regista Simone Godano, a mio avviso ha utilizzato al meglio una bella sceneggiatura di Giulia Steigerwalt, con ritmo e brio narrativo. Anzi: il suo punto di forza è proprio la definizione in sede di scrittura di tutti i personaggi: ognuno dei quali obbedisce a diversificate motivazioni. Non solo: ognuno si muove su linee che, nel corso del film, maturano e portano a diverse soluzioni; che, ovviamente sono interne agli stilemi della commedia e del finale gratificante e lo fanno con ironia e leggerezza. E talvolta senza alcun cambiamento esteriore “obbligato”: come nel caso di uno dei personaggi centrali, quello di Penelope (Jasmine Trinca) che vorrebbe essere come il personaggio odissiaco: tesse le fila di una tela di inganni che dovrebbe impedire il matrimonio, essendo contraria. Non per motivi socio-culturali: ma perché francamente invidiosa del sentimento che avverte presente e forte nella coppia di suo padre e l’altro. Ma non una sola manovra le riesce. Appare come la “cattiva” della situazione: ma in realtà è esistenzialmente confusa, perfino quando fa la pseudocorte al figlio del pescivendolo: sgamata dalla combattiva moglie, si vede solo che è un’adolescente che non sa quello che vuole. E rimane in questo limbo.
La sceneggiatura prevede, nel sottofinale, una probabile sua pacata successiva trasformazione: come se avesse accettato, convivendoci, tutte le contraddizioni in lei presenti, anche se non del tutto risolte. Ed avviene come dice il personaggio della madre adottiva, la saggia, luminosa e generosa, e bella con maturità, Anna Galiena: “E’ brutto invecchiare: ma invecchiare senza crescere è orribile”. E’ un elegante e riuscito personaggio-folletto: perché appare, ridefinisce tutto, nel senso che dà un nuovo start alla scansione dei personaggi (in particolare di Tony), e poi, opportunamente, scompare di scena. Come assai simpatico è il figlioletto di Tony, che per amore del padre appare il più comprensivo.
Da notare che è uno dei pochi film italiani riusciti che non è debitore ad un qualche precedente testo straniero, francese, spagnolo, argentino, ecc., come sta sempre più spesso avvenendo nel nostro cinema. D’altra parte la sceneggiatrice è un personaggio di per sé complesso. Laureata in filosofia, e in possesso di un Master in Produzione Cinematografica, nasce come attrice nei film di Gabriele Muccino, continuando con successo in televisione; ha scritto un romanzo. Insomma: è giovane, tosta, capace e ambiziosa; ed è colta. Inoltre ha già lavorato col regista nel precedente brillante film. Qui è riuscita a creare, come nelle commedie classiche italiane (Goldoni; Da Ponte) e francesi (Marivaux), senza alterare il senso dell’armonia e della fluidità dell’insieme, un doppio protagonismo: quello dei due protagonisti “frontali”, i bravi, credibili, anche dal punto di vista erotico-sentimentale, e assai misurati Fabrizio Bentivoglio e Alessandro Gassman, e quello della Trinca. E’ impresa difficile. Significa scandire con rigore il gioco dei tempi e delle apparizioni, dando ai dialoghi la giusta dose di freschezza e velocità, nel mentre si mettono a fuoco i personaggi. Che peraltro sono piuttosto numerosi: e le situazioni che li riguardano hanno un piacevole, garbato e non scontato afflato corale. Da rilevare la fotografia di Daniele Ciprì: dopo lo sperimentalismo di “Il primo re”, il realismo di “La paranza dei bambini”, abbiamo la solarità ingannevolmente aperta di questo film.
Francesco Capozzi