Il “Cascà” di Carloforte: un piatto che parla di integrazione e ospitalità
La cucina, una parola che può contenerne tante altre: storia, cultura, tradizione. Alcuni piatti poi fungono da collante tra i popoli, è il caso del “cascà” o “cus cus tabarchino”. Il prossimo mese, a Carloforte la diciottesima sagra dedicata a questo piatto.
Si svolgerà a Carloforte, il 27 e il 28 aprile, la “diciottesima sagra del cous cous tabarchino”, l’evento enogastronomico organizzato dall’ associazione CIAO ( commercianti, imprenditori, artigiani, operatori) , Consorzio Arcobaleno e Comune.
Saranno, come sempre, numerose le presenze turistiche sull’isola di San Pietro durante il fine settimana, come del resto succede da diciotto anni a questa parte, per lo svolgimento della sagra. Degustazioni, live coking ed esposizioni di prodotti locali e del resto della Sardegna, hanno caratterizzato questa festa che coinvolge tutta la popolazione di Carloforte, a partire dalle massaie, e dai ristoratori, che preparano “gratuitamente” il tradizionale piatto locale distribuito durante i due giorni della sagra.
Ma cosa è il “ Cascà di Carloforte” ?.
Per ben spiegarlo dobbiamo partire dalla storia dei Carlofortini, o “tabarchini”, popolo del mediterraneo che ha dovuto integrarsi, e interagire con più culture. Liguri che sono partiti per Tabarca in Tunisia nel ‘500. da lì ancora un “trasferimento” questa volta in terra sarda nel 1738, poi ancora in Tunisia , questa volta come prigionieri e schiavi, dal 1798 al 1803. Per poi ritornare appunto a Carloforte, nella piccola isola di San Pietro a Sud Ovest della Sardegna.
E’ durante il loro soggiorno in terra tunisina ( nell’ isola di Tabarca, come pescatori di corallo, prima e a Tunisi come schiavi poi) che i Carlofortini vengono in contatto con il piatto in questione.
Della ricetta del Nord Africa il “Cascà tabarchino” è una variante che prevede una preparazione e degli ingredienti diversi, almeno in parte, da quella originale. Un tempo il cascà era un piatto povero composto essenzialmente da semola lavorata, cavolo cappuccio, cavolfiore e ceci, e non prevedeva l’ uso della carne ( a differenza della ricetta africana, che lo accosta con quella di montone).
Con il passare degli anni la ricetta si è evoluta includendo verdure di stagione e suino, in particolare la cotica di maiale.
Il Cus Cus tabarchino, o meglio “ il Cascà di Carloforte” come è chiamato dalla popolazione locale, è a buon ragione una ricetta semplice ma ricca di storia e cultura. Ci racconta la capacità di adattamento, e integrazione di un popolo, la sua forza di sopravvivere ai disagi e alle privazioni. Ci dice anche di come si possa portare per il mondo tutta una storia, attraverso una ricetta di cucina. Con il passar degli anni è diventato il piatto delle feste più importanti, in particolari quelle patronali, e una pietanza da far assaggiare agli ospiti venuti da fuori, simbolo di accoglienza e convialità.
Recentemente da Carloforte è partita una intera famiglia, guidata dal
simpaticissimo Chef Mario Granara,
per aprire un ristorante in Spagna. Credo che non ci sia modo migliore, per far
capire cosa sia il “Cascà” per un carlofortino, che citar il post pubblicato
sul profilo FB di Mario : “Il cuscus (cascá) Carlofortino sbarca in Costa
del Sol (Fuengirola) che Dio lo Benedica. El cuscús (cashcá) Carlofortino
aterriza en la Costa del Sol (Fuengirola) para que Dios lo bendiga”; il nome del ristorante? Carloforte.
Numerose le ricette del cascà che si trovano sui libri e in rete, noi abbiamo preferito proporvi quella del libro, sulle ricette della cucina tabarchina, scritto da Nino Simeone e Norino Strina, due cultori della storia e tradizioni tabarchine: U paize u mangie… – Il gastonomo tabarchino (1991)
Si è scelto di mantenere inalterato il testo della ricetta riportata nel libro, dove al posto di “Cascà “ si trova scritto “Cashcà” , cio è dovuto al fatto che solo recentemente, a partire dal 2005, la “lingua tabarchina” scritta si è dotata di regole grammaticali che ne uniformano l’uso.
Il cashcà
“Il cashcà è un piatto tipico della cucina tabarkina, variante del più noto “cuscus”, pietanza diffusa in tutta l’Africa mediterranea.
La base di questo piatto è la semola cotta a vapore, condita poi con molte verdure che vengono preparate a parte.
Per prima cosa è necessario inumidire la semola con acqua e olio, in modo tale che i vari granelli assorbano il liquido senza impastarsi tra di loro.
Eseguita questa preparazione, si passa alla
cottura vera e propria.
Si sovrappone, ad una pentola contenente all’incirca 4 litri d’acqua, la
cuscussiera, che è simile ad un colapasta di terracotta, nella quale viene
posta la semola ed alcuni cubetti di cotica di maiale.
Il tutto si fa cuocere per circa 3 ore.
Nel frattempo, si passa alla preparazione
delle verdure, che costituiscono il condimento della semola.
Il cavolo tagliato a listarelle si fa rosolare col cavolfiore, la cipolla e la
carota;
i piselli con favette e carciofi vanno trifolati al tegame e a fine cottura,
profumati con della maggiorana;
i ceci, messi la sera prima in ammollo, vanno lessati con alcuni spicchi
d’aglio, mentre le melanzane, tagliate a “dado”, si friggono.
Quando infine la semola è cotta, la si condisce con le verdure ancora calde e la si profuma con della saporita.
Il cashcà va servito in tavola tiepido, per cui dopo il condimento della semola, la pietanza dovrà riposare per alcune ore.
Da bere? Quello che volete, ma soprattutto acqua bella fresca.
Antonello Rivano
Qualche osservazione. Piselli e favette fanno parte del casa primaverile. Il casca è il piatto tipito di S: Carlo, 4 novembre. Le verdure : cavol fiore, capuccio, carote e zucchine nella stessa pentola alla quale si sovrappone la scucusiera. Ok i ceci. Le melanzane tagliate e fette rotonde e fritte. Tanto nella semola lavorata che nella pentola delle verdure, sale qb, canella o saporita, pepe non obbligato. Così lo faceva mia Madre (classe 1898).
Che dire…? chi meglio di Antonello Rivano poteva illustrare e rinfrescarci la memoria riportandoci indietro nel tempo con cenni storici che appartengono alla Comunità Carolina Dio sa quanta forza ha avuto quel popolo…la nostra gente sangue del nostro sangue!
Grazie Antonello per averci nei tuoi generosi pensieri ❤️
Ciao baci