Notre Dame, quel fuoco dell’Inferno
“Egli castigherà i perversi e li precipiterà in una voragine di fuoco”. Claude Frollo, Arcidiacono di Notre Dame in “Notre Dame de Paris “ di Victor Hugo, giudice nel trentaquattresimo classico Disney scritto da Jonathan Roberts, diretto da Gary Trousdale e Kirk Wise e reso immortale dalle musiche di Alan Menken, era ossessionato dal fuoco, il fuoco dell’Inferno che lo avrebbe accolto e condannato non per il suo animo turpe e abietto, ma per il più grande peccato frutto di una personificazione religiosa che esprime la sua vitalità e la sua caducità: l’amore sacrilego per un essere abietto come una zingara.
Pochi personaggi letterari hanno la caratteristiche di un antieroe per eccellenza come quello di Frollo, delineato dalla penna di Hugo in Notre Dame de Paris e felicemente ripreso nella versione disneyana; certo, accostare un personaggio di un classico come quello del capolavoro dello stesso autore de “I Miserabili” uscito nella Francia del Romanticismo nel 1831 con una versione recente e popolare come quella disneyana può apparire azzardato ai benpensanti; eppure mi si permetta di insistere su questa straordinaria collimazione che vi si riscontra tra i due personaggi così perfettamente accostati da diverse sensibilità autoriali appartenenti a diversi secoli. Seppur differenziati da una differente condizione sociali e nonostante un palese stravolgimento della trama con una mutazione sostanziale anche dei personaggi, il Frollo hugoniano ha molto da rispecchiarsi in quello disneyano del 1996: Frollo è uomo dalla fede profonda, un intellettuale il cui eclettismo è la sua principale caratteristica: se nel romanzo egli sa di chimica, di alchimia, di filosofia e di scienza, nel film egli appare come un saggio precettore la cui risaputa missione, come lo si sa, è quella di una personale moralizzazione contro il male assoluto della società raffigurata dalla perversa stirpe gitana in cui lui rivede i germi del male e conseguentemente dell’Inferno.
Luci ed ombre, fuoco e luce, tenebre e chiarore sono gli elementi caratteristici di una Parigi medievale quattrocentesca in cui Victor Hugo, autorevole esponente di quella letteratura romantica in un momento storico-letterario in cui il movimento romantico, così come concepito da Madame De Stael, poneva le sue radici in un radicato cattolicesimo, aveva affidato una sua profonda riflessione sul destino e sull’evoluzione dei costumi con un’epopea che, avendo la sua origine nel Medioevo, arrivasse sino alla sua contemporaneità. Il sentimento dell’amore nel romanzo, perverso ed egoistico quello di Foebus (ma sincero nel film), carnale e platonico quello di Frollo, autenticamente puro quello del Gobbo Quasimodo, è rappresenta la vera forza motrice degli avvenimenti anche se si manifesta come maniacale, perverso, disturbato come nel caso di Frollo.
La cattedrale di Notre Dame, di cui da lunedì’ pomeriggio temevamo di poter ammirare solo il suo scheletro, lo stesso scheletro del Gobbo de “L’uomo al quale era appartenuto quello scheletro era dunque venuto in quel luogo, e lì era morto. Quando si volle staccarlo dallo scheletro che stringeva, andò in polvere.»”…,,grazie senza dubbio all’apporto letterario e fortemente imaginifico del materiale cinematografico prodotto, è divenuta nell’immaginario popolare il tempio custode di quella cristianità misteriosa e soffusa nella nostra mente e nella nostra indole.
Autentico protagonista del romanzo non è il Gobbo Quasimodo, il quale come ogni “umano adibito a mostro, a creatura” vive il sentimento contrastante dell’amore-odio avuto origine dalle sue sgraziate forme e sprizzato per via dell’altrui scherno (destino, anche di morte, condiviso con il Frankenstein di Mary Schelley), ma Claude Frollo, simbolo seppur assai marcato e portato alle estreme conseguenze, di noi cristiani; il perenne giustificarsi, autogiustificarsi per ogni sua azione malvagia credendo di poter avere un mandato adatto ad agire in nome di Dio (anche per uccidere, torturare o imprigionare il popolo dei gitani che lui ritieni l’origine di ogni male e di ogni perdizione) lo porta a vivere una gravissima crisi morale quando il suo percorso vitale si incontra per la prima volta con la lussuria provata proprio per una gitana.
Nella Cattedrale di Notre Dame, che rinchiude l’esistenza sacrificata di Quasimodo, albergano le paure ed i dubbi dei credenti tutti, quel “timor dei” che sonnecchia attendo un risveglio che per i malvagi non sarà di certo clemente,. Risulta incredibile come i riferimenti storici e letterari si ripropongano nella storia. Se Vico definiva i ricorsi storici non come una mera successione di forme politiche ma come un ripetersi delle forme della cultura sociale, l’incendio di lunedì della Cattedrale di Notre Dame, se si vuole esulare per un attimo dalle cause “terrene” di accidentali responsabilità umane o politiche dovute a crudeli attacchi alla cristianità ad opera di forze estremiste islamiche, collima in maniera impressionante con tutto ciò che il nostro scrittore bisontino aveva predetto e lasciato ai posteri. Se la sua profezia annuncia di una grande fiamma disordinata e furiosa con turbini di scintille tra i due campanili”, la morte di Frollo, colui che impersonifica il male ed il disordine della cristianità in un’ epoca sempre più latitante dai valori di Cristo anche in periodi Santi dell’Anno Liturgico (il rogo è avvenuto nel primo giorno della Settimana Santa), è spaventosamente ritratta nella rappresentazione filmica del romanzo. Le fiamme che avvolgono Notre Dame non sono umane, prodotte dall’uomo, ma giunte dai meandri della Terra per risputare e per rispedire “empi demoni dall’Inferno da cui provengono”. Il fuoco divampato sul tetto della Cattedrale lunedì scorso non è diverso dal fuoco che mangia i soldati aizzati dal giudice Frollo contro il suo figlio adottivo reo di essere stato ammaliato da un demone come Esmeralda che è un Angelo secondo il Gobbo (si noti la contrapposizione Luce del Paradiso-Fuco dell’Inferno- Haeven Light-Hellfire magistralmente resa dalle musiche di Menken ed interpretate dai rispettivi doppiatori del Gobbo e di Frollo Massimo Ranieri-Eros Pagni).Fortunatamente l’incendio di lunedì non ha devastato la Cattedrale come invece accade nella trasposizione filmica (in cui le colonne di piombo fuso sgorgano dagli anfratti dei campanili e dalle fauci dei Gargoyles) né abbiamo pianto morti (l’enigmatico Frollo troverà la morte proprio ad opera di un Gargoyles improvvisamente animatosi mentre, in equilibrio su di esso, sta per decapitare Esmeralda pronunciando la frase dell’Apocalisse con cui si è aperta la presente riflessione.Ma , se la morte di Frollo, che Victor Hugo immagina provocata dallo stesso Quasimodo che nell’unico moto di ribellione scaglia il proprio padre-padrone già dalla cattedrale per salvare il suo vero amore Esmeralda e che nel film assume una connotazione onirico-misteriosa (il Gargoyles che si anima e lo fa precipitare..cosa simboleggia quella pietra che si adira, l’immaginazione, il suo inconscio, Belzebù?”, simboleggia la soluzione radicale ad una perdita di controllo di se stesso ad una more compulsivo, confusionario e malato, allo stesso tempo l’immagine forte della cattedrale in fiamme e dello spettrale silenzio consegnataci dalle fotografie dei resti della navata il giorno seguente al rogo, esternano un forte senso di impotenza a cui tutta la cristianità dovrebbe far ammenda.
Notre Dame, come l’Araba Fenice, dovrebbe risorgere dalle sue ceneri. La preghiera, il nostro “Confiteror”sia quella che assieme ad essa risorgano anche le nostre coscienze contrapposte alle norme alfabetiere che l’Arcidiacono di Notre Dame inculcava nel Gobbo.
Stefano Pignataro