MA SE NELLA TRAVERSATA LA PICCOLA VOLPE FINISCE CON LA CODA NELL’ACQUA, NULLA C’È PIÙ DI PROPIZIO.
Quando sta per accaderci qualcosa di molto doloroso la paura dilaga dentro.
La paura sparge il suo seme in anticipo. Ci avverte in modo sommesso che stai per affondare, è un artiglio che ghermisce il cuore e lo stritola fino a farlo scoppiare, è un bruciore in fondo alla gola, che non potrebbe inghiottire nemmeno un goccio d’acqua.
C’è una bambina seduta compostamente nella prima fila di un pullman, sta viaggiando da molte ore, lontana la destinazione. Il mal d’ auto sembra essere il solo suo pensiero, gonna grigia di flanella e berretto calcato in testa, nella valigia un pacco di lettere in bianco con l’intestazione del mittente, dovrà scriverle, forse lo farà, gocce di pioggia si posano sul finestrino, prova a seguirle con il dito sporco di sangue, ancora si morde le unghie. Entra lentamente, ma inesorabilmente in un buco insonoro, fatto di gesti uguali, di camerate con tavoli di zinco, di letti di ospedale, di luci azzurrine, di fruscii di strumenti che ritmicamente segnano il respiro.
È sola, nessuno può sentirla gridare dentro.
La paura è una bambola di pezza posata sul letto che ha lasciato da poche ore, l’ha lasciata in attesa del suo ritorno.
Affiora dal passato un sogno (o era realtà?) La bambina si è alzata per andare in bagno, ci sono altri bambini con lei, qualcuno piange e se la fa addosso, vede una mano tesa, la stringe e comincia a girare in tondo, forse sta piangendo, è tutta bagnata, la medicina negli anni ’60 è un mattone sullo stomaco, a cena l’uovo sodo e l’insalata erano particolarmente indigesti, un respiro la sfiora, sente come in lontananza la voce della madre, un lago si allarga nel cuore e cresce, cresce, fino a riempirla tutta.
La paura è una bambola di pezza posata sul letto che ha lasciato da poche ore, l’ha lasciata in attesa del suo ritorno.
Si sono lasciati, no che non voleva, stavolta per sempre si sono detti addio, esce dal negozio come se le gambe non fossero le sue, la porteranno a destinazione, sente il sangue pulsarle nelle tempie, almeno il tempo di svoltare l’angolo si dice, almeno quello, nemmeno il fremito delle spalle deve essere visibile. Nella prima traversa buia scendono le lacrime, non può più vederla, legge indistintamente il nome della via scolpita nel travertino bianco, è solo un’immagine ma è dolorosa come una spada conficcata nella schiena. Segna la strada del dolore, lungo, difficile, muto, forse ridicolo a pensarci adesso.
La paura è una bambola di pezza posata sul letto che ha lasciato da poche ore, sta imparando a separarsene, definitivamente. Giace abbandonata tra fogli scritti con grafia minutissima, tra libri di scuola zeppi di appunti, la bambina è donna, è ormai in grado di separarsene da sola.
Un raggio verde attraversa la stanza. È il segno. Bisogna lasciare la paura da qualche parte, la paura è una bambola di pezza chiusa nell’armadio. Bisogna indossare un abito penitenziale, che sia scuro, che sia facile da comporre. Lascia stare i capelli, lascia stare il viso pallido, la giovane donna segue una lunga automobile che si avvia lentamente. Si avvia anche lei, la giornata è tiepida come sempre a dicembre, stridono in alto i gabbiani. La giovane donna si avvia a percorrere la strada, la bambola di pezza è chiusa dentro un armadio, separata, spesso urla dentro per uscire, sono mesi difficili. Il dottore dice che ce la farà.
La bambola è solo un simulacro di pezza, è il dolore, quello più fitto e più duro, è chiuso in un armadio, si fa sempre più lontano.
Ancora bisogna separarsi dal dolore, non è stato nemmeno necessario prenderlo e metterlo da parte, l’ha fatto da solo. C’è ancora un tunnel da percorrere, fatto di vesti nere, di capelli scomposti e scoloriti, di bruttezza manifesta, di sonni scomposti sulle poltrone, di mani che lavano, che cucinano, di occhi che osservano il mare d’inverno dal finestrino. Segue ancora le gocce di pioggia sul vetro, non ha imparato a non mangiare le unghie. Il Carnevale è in piazza, qualcuno laggiù sul mare muore.
La bambola di pezza della sua paura giace disarticolata nel fondo dell’armadio.
Torna la paura a farsi sentire, torna la bambola di pezza a chiamare.
La bambola di pezza è nascosta nel fondo di un armadio, stava lì da molti anni, alcuni uguali, altri più stanchi. La giovane donna, ormai saggia, percorre strade consuete, anno dopo anno. Sono quattro o forse cinque le volte che si è fatta un regalo. Qualcuno ricompone i frammenti del suo essere in un tutto. Lo sente vicino, c’è sempre, ma la bambola, a volte, si sveglia dal suo torpore e mena fendenti. Quelli della maturità sono i colpi più duri.
Una malattia improvvisa inonda il mondo, le porte si chiudono, i volti si nascondono nei baveri dei cappotti, la vita si fa silenziosa, dopo aver troppo urlato. Si prepara un mesto addio. Persino la bambola non sa più gridare, fissa un punto lontano. La paura è nello scaffale della libreria, dove sono i libri più cari. Vesti nere, capelli arruffati, passi veloci verso casa. Bisogna entrare nel tunnel, la vita lo esige di nuovo.
La donna toglie gli orecchini, inforca gli occhiali più vecchi, indossa vesti casalinghe e aspetta.
La paura è una bambola di pezza posata sul letto che ha lasciato da poche ore, separata da essa, continua la vita sorda a se stessa. In attesa di potersi rimettere in moto.
Maria Rosaria Anna Onorato