CARLOFORTE 04.04.1943. Un racconto di guerra.

Ci sono giornate che restano nella memoria di un popolo, alcune risalgono dal passato in maniera più decisa, più toccante, in certi momenti storici.

Erano le 13 quando sei bimotori americani giunsero sul paese da nord e iniziarono a sganciare le bombe partendo dalle cinta delle mura, sulle case, sino al lungomare, sul porto. In quel momento stava attraccando il vaporetto proveniente dalla madre isola sarda. Alla fine dell’incursione si contavano 12 morti e 30 feriti, tutti civili, tra i deceduti un ragazzino di 11 anni.
In un periodo di emergenza sanitaria, come quello che stiamo attraversando, è facile pensare di essere in guerra, che il nostro dover stare in casa è un sacrifico troppo grande. Allora è doveroso ricordare cosa fu quella guerra, che non dista poi molto dai nostri giorni.
Lo vogliamo fare senza riconcorrere ai libri di storia scritti da esperti, ma con i fatti raccontati dalla figlia di una delle protagoniste di quel tragico 4 aprile del ’43.

Luisetta Mercalli ha recentemente compiuto 105 anni.
(foto scattata in occasione del suo 104° compleanno)

In questo racconto, tratto da una storia vera, Angela Quaquero (presidente dell’ordine degli psicologi della Sardegna) scrive della madre Luisetta, allora giovane maestrina, la quale affronterà qualcosa che la cambierà per sempre.

“<<Luisetta, ti l’è atruvè e oeuve?>> Le uova, è vero. Doveva cercarle dal contadino dietro al Bricco. Sono in quindici sfollati nella casa della vigna, un po’ fuori paese. Bisogna trovare da mangiare per tutti e non ce n’è abbastanza. Meno male per gli asciugamani con il pizzo. Per ognuno di quelli una dozzina di uova si rimedia. <<Vaggu, mamma>>. Vado. È mezzogiorno e mezza, la giornata è luminosa. Luisetta si incammina. Le scarpe sono consumate e il viottolo fa sentire tutte le pietre. Allo stradone gira a sinistra. Pochi passi ed ecco la sirena. Da Guardia dei Mori l’allarme: aerei nemici in arrivo. È il 4 aprile ’43. I nemici sono ancora gli Americani. Li hanno già visti un mese e mezzo fa, quando, come un’unica ala d’argento, sono andati a bombardare Cagliari. E oggi di nuovo la sirena; speriamo che vadano via in fretta. Luisetta si nasconde contro il muro dello stradone e aspetta che il rombo arrivi e poi passi. Ma quando il fragore delle eliche è al massimo scoppia l’inferno. Le esplosioni si succedono per cinque, dieci, venti secondi. Un’eternità. Poi via. Il silenzio. Dimentica le uova, Luisetta, corre veloce verso il paese. Non sa cosa troverà, ma il suo posto è lì. Quando, due anni fa, ha avuto il grado di Segretaria del Fascio Femminile, era molto fiera del riconoscimento. Il sabato con le Giovani Italiane, la divisa bianca e nera, le adunate, gli inni, il saluto delle autorità … non male per una maestrina. Ma ora non è più questione di inni o di divise. Adesso c’è solo la responsabilità: qualunque cosa sia successa in quell’inferno, lei deve esserci, e subito. Entra in paese di corsa e di corsa arriva al porto. Il vaporino da Portovesme è appena attraccato. Sul molo corpi, sangue, gemiti. L’ambulatorio del medico condotto, quello anziano, è a pochi passi. Non sa con chi, né con quali forze, ma accompagna cinque, dieci, quindici feriti al riparo. Le prime cure, le mani si muovono, la mente chissà dov’è. Ma non è finita. Sul molo sono rimasti gli altri, dodici corpi senza vita. Senza fiato si avvicina. Si china, ad uno ad uno li ricompone, chiude gli occhi, una carezza. E poi, in piedi, sta lì, semplicemente, a pregare. La troverà due ore dopo, ancora sola, il medico giovane, che sbarca da Calasetta. La conosce da sempre, la brillante maestrina, l’ha anche corteggiata; ma quella che vede ormai è un’altra.”

Antonello Rivano


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