Castel San Giorgio. La tradizione antropologica del Volo degli Angeli
Castel S. Giorgio – in queste primissime esperienze post emergenza da Coronavirus (Fase Tre) – non smentisce i retaggi antropologici ed etnografici dei propri avi; tradizioni ancestrali legate, in gran parte, alla società contadina.
Il nome Giorgio (ricorrenza: 23 aprile), non a caso, ricorda i “coltivatori della terra” (Geo o Gaia) – alias contadini od ortolani – in inglese: country-men e green – grocers. Ebbene, proprio in alcune frazioni – tra le dodici – della cittadina che si estende verso la Valle del Sarno, esiste da decenni un culto le cui antichissime origini si perdono nella notte dei tempi.
Stiamo parlando del “Volo degli Angeli”, segno fortissimo dell’attaccamento alle radici dei “patres”. L’evento è inserito nell’ambito dell’altrettanto noto, sentitissimo, culto in onore della Madonna di Costantinopoli – patrona di Aiello e Campomanfoli, realtà vicine l’un l’altra. Dai toponimi “agellum” (forse “piccolo campo”; dal latino “ager”) e “campus Manpholi” (probabilmente dal nome di un luogotenente di Annibale oppure – meglio, secondo studi più recenti – da “campus mansolo”; podere contadino, altrimenti detto “manso” o “maso”), queste due località si “contendono” (se così possiamo affermare) la devozione di Maria di Costantinopoli. Talmente venerata da essere ricordata nei nomi Nobile e Nobilina – molto diffusi in tutto il Sangiorgese.
La ricorrenza (martedì dopo Pentecoste) è sempre molto partecipata, in particolare negli scorsi anni – “lontano” dal Covid-19. Se ne hanno notizie anche navigando in rete, cliccando su “Wikipedia – Castel S. Giorgio” (in vari link o collegamenti) oppure su “Chiesa Madonna di Costantinopoli Castel San Giorgio”. Qui appare la suggestiva pagina o schermata iniziale (home page), con – al primo link – l’immagine “divina” di due bambine (creature angeliche, pure, senza malizia o peccati “della carne”; innocenti) saldamente attaccate a una carrucola – detta ingegno, congegno o semplicemente ‘ngegno.
È proprio questo, il cosiddetto “Volo degli Angeli” – che si è potuto vivere anche stavolta, per “l’edizione” 2020. Ovviamente, con molte più restrizioni. Un rito molto interessante, affascinante, ricco di implicazioni religiose e sociali. Tra cori e tripudi; con musiche celestiali. Spartiti armonici e antichi – anch’essi. Davvero una bella tradizione popolare.
Le due bimbette, vestite da angioletti, sono generalmente abbigliate di rosa ed azzurro – i colori tenui e pastello dell’infanzia senza macchia – e cantano (appese alla carrucola, ma con opportuna rete di protezione, oltre che con “bardamenti” molto accurati) una sorta di contrappunto o di “contrasto” (si ricordi Cielo o Ciullo d’Alcamo – tra la Scuola Siciliana e il Dolce Stil Novo dantesco). Un inno rivolto, imploranti, alla dolce Vergine di Costantinopoli – titolare (patrona) dell’omonima chiesa.
Una statua anch’essa ancestrale, il simulacro. Che sembra riprendere le realizzazioni, il gusto, i modi del ‘600 – ‘700. L’happening dal gusto atavico è andato in scena, come di consueto, il martedì dopo la domenica di Pentecoste. Per la cronaca, quest’anno, il 2 giugno scorso. Con coreografie sempre molto gradevoli, anche in queste temperie di virus e contagi. Varie le iniziative legate a questa ritualità apotropaica, lustrale, purificatoria – che segna lo spartiacque tra la classicità “pagana” e i riti più propri (o “tipici”) del Cristianesimo. Anche se moltissime celebrazioni cristiane riprendono, in toto o con delle variazioni e modifiche o integrazioni, festeggiamenti del tutto pagani, politeisti.
Un esempio può essere costituito dalle processioni stesse, già presenti nelle prime civiltà preistoriche e poi raffinate e abbellite, sviluppate, da Greci e Romani. Con tanto di preficae o matres dolorosae a battersi il petto e a strapparsi capelli e/o vesti; nell’elaborazione “sociale” o “sublimata” (Freud) del lutto. Concetto demartiniano, dal nome di un famoso studioso di Etnografia – XX secolo. Anche Dante Alighieri riconosceva il grandissimo tributo offerto dai popoli “post preistoria” alle conquiste cristiane.
Per il Sommo Poeta, il mondo cristiano era preceduto da quello classico. Per questo, e per altri motivi (la preconizzazione di Gesù Bambino, quale “puer” salvifico – in realtà era l’imperatore Augusto – attuata da Publio Virgilio Marone) egli pone Virgilio quale guida di Inferno e Purgatorio; nella sua Commedia. A simboleggiare la razionalità, la ragione.
Beatrice assurge invece al “ruolo” di “colei che dona beatitudine” (nomen omen) nella terza cantica: il “Paradiso”. La poetica dell’ineffabile, di ciò che non può essere descritto a parole umane. Beatrice rappresenta la sollecitudine della Carità, sebben fin troppo idealizzata e senza una reale introspezione psicologica, che la renda tormentata o problematica.
Ma andiamo avanti. Tornando a noi, la festa di Maria di Costantinopoli ha visto varie fasi (anche quest’anno – come detto sopra) di offerta e omaggio alla cara Madre Nostra. Il programma religioso si è dipanato l’1 – 2 – 3 giugno scorsi, tramite apposite novene (dal 24 maggio) che si sono tenute nella chiesa dalle 18.30 (S. Rosario) alle 19 (S. Messa) degli ultimi giorni di maggio. Il primo giugno, secondo appunto il programma delle manifestazioni, alle 18.30 le melodiose campane hanno suonato a distesa per annunciare l’inizio delle celebrazioni. Alle 19, ecco la celebrazione liturgica comunitaria. Con tutte le precauzioni del caso – ovvero con mascherina, guanti, misure di distanziamento (sociale) e dpi (dispositivi di protezione individuale). Per festeggiamenti in tutta sicurezza e serenità. Anche in altre realtà di Castel S. Giorgio si sono potute vivere le sante Messe “in presenza”; questo dal 24 maggio scorso – allorquando si sono allentate, un po’, le restrizioni legate al preoccupante fenomeno sanitario ed economico detto Coronavirus.
Nel giorno dell’Ascensione del Signore Gesù, proprio il 24 maggio (nel circondario si mangiano, in tal data, tagliatelle quagliate nel latte – nel ricordo della poppata persa da Maria, nel vedere il Figlio salire al Cielo; secondo le tradizioni etnografiche) le chiese “universali” hanno riaperto i battenti all’ecumene e ai fedeli, accogliendoli per partecipare all’eredità di Cristo. Così anche per la Pentecoste. Così per la Madonna di Costantinopoli. Di cui si potrebbe parlare per ore ed ore, dato che le relative celebrazioni hanno sempre un che di magico e suggestivo; di poetico.
In queste prime due domeniche di apertura degli edifici di culto cattolici, è tornata ad assumere le proprie “funzioni” anche la parrocchia di S. Maria delle Grazie e Santa Croce di S. Giorgio centro – quindi pure la chiesa della congrega di Maria Immacolata; una confraternita di vecchie origini, retta attualmente dal priore Gennaro Cibelli (hair stylist per uomo; barbiere). Un’apposita brochure illustra le indicazioni per l’accesso “senza pericoli” (di infezione o contagio). Per un totale di quarantasei partecipanti.
Sei i punti da stigmatizzare, per poter assistere alla Messa in tale parrocchia; innanzitutto si deve entrare, obbligatoriamente, indossando la mascherina. Poi occorre rispettare la distanza di un metro tra fedele e fedele. Alcuni volontari stanno vagliando coloro che hanno facoltà di accedere alla chiesa. È anche disponibile del gel igienizzante, posto all’ingresso dei locali; tutti, entrando, sono tenuti a utilizzarlo. Ancora, i parroci del comprensorio, nonché il priore Cibelli, fanno sapere che l’ingresso è proibito a chi presenta sintomi influenzali e/o respiratori; la temperatura dev’essere sotto i 37,5 gradi. Occorre, inoltre, cercare di evitare assembramenti in chiesa. Infine, è necessario evitare ogni contatto fisico: no, dunque, ad abbracci; strette di mano; scambio del segno della pace. Infine, la brochure contempla delle indicazioni per poter ricevere il Corpo di Cristo: l’Eucarestia si riceverà sulle mani, senza venire a contatto con le mani del sacerdote. Sarà proprio quest’ultimo a recarsi dai comunicandi, che attenderanno pazientemente in piedi ai loro posti. Corona idealmente la brochure una piantina (mappa) stilizzata e semplificata della chiesa – con tutte le ulteriori avvertenze e spiegazioni.
Torniamo ancora a noi e alla tradizione del Volo degli Angeli. Dopo l’offerta dei ceri votivi, avviene – in genere, in questi ultimi anni prima del Coronavirus (almeno) – la sacra manifestazione. Con le piccole che intonano canti e nenie supplici alla Vergine. Nel passato più remoto, la rappresentazione durava molto più tempo rispetto ad oggi, e veniva integrata dalla “apparizione” del demonio (ovviamente un attore caratterista) – in una nuvola di zolfo. Tutto ciò quale accorato appello all’intercessione di Maria, per impetrarne le molteplici grazie. L’evento è organizzato (sempre) – con tanto di concerto bandistico, a cura di realtà/bande locali (città di Castel San Giorgio) o provenienti da centri urbani limitrofi – S. Severino; Fisciano; Bracigliano (qui la tradizione, la dedizione e la passione per la musica, soprattutto bandistica, sono assai rinomate).
Un modo per trascorrere la solennità della Pentecoste – festività già contemplata presso gli antichi Ebrei – prima dell’avvento di Gesù sulla “scena” di questo mondo. Da una parola greca che significa: “cinquanta giorni”. Un numero simbolico (come la Quaresima è derivata da “quadragesima dies” – periodo di quaranta giorni) che poi assume le connotazioni cristiane di “battesimo di fuoco” o di “Pasqua delle rose”. Dall’ebraico “Pesah” – ovvero “passaggio” (anche metaforico, al Mar Rosso e attraverso la morte da parte di Gesù) ma anche “salto”, una danza rituale ebraica.
Ma passiamo avanti: il Volo è, generalmente, “ripetuto” a mezzogiorno in punto (orario dedicato a Maria, con l’Angelus) e in serata – alle 22.30 o alle 23.30 e proseguendo verso mezzanotte. La malia (in senso buono) cattura e affascina tutti i numerosissimi astanti. Un mito bizantino – come recita il vocabolo, il toponimo Costantinopoli (l’odierna Istanbul, nella Turchia “europea”). Una delle specialità gastronomiche che si degustano in questo giorno (ricordiamo, prima dell’avvento del Covid) – come nella frazione Spiano, a Mercato S. Severino; vicinissima al Sangiorgese e anzi San Giorgio faceva parte dell’antico Stato di Sanseverino) sono polpette di baccalà e soprattutto sarde a beccafico (specialità mutuata, in parte, dalla Sicilia). Altrimenti dette sarde “in pinzimonio” – con olio, aceto, foglioline di menta. Ingredienti tipici di queste zone. Materie prime a torto definite “povere”; in realtà sono sapori calorici e ricchissimi di gusto, erano detti cibi “poveri” solo in quanto si trovavano facilmente nelle cucine dei ceti sociali più umili. Concludiamo questo nostro scritto, tale pur lungo testo, ricordando le varie… “Madonne” venerate nelle aree tra S. Severino e San Giorgio.
In realtà, come tutti sappiamo, la Madonna è una sola; nell’iconografia ed iconologia popolare, però, ogni luogo ha una “sua” peculiare effigie di Maria. Raffigurata diversamente di cultura in cultura; di popolo in popolo. Ritroviamo, così, la Vergine di Guadalupe; del Cobre; quella scura di Materdomini di Nocera Superiore (con la Madonna delle Galline della vicina Pagani) – che prevede il rito della “incubatio” o della “veglia” (15 agosto, riguardo l’Assunta); ancora, la Madonna – sempre scura, suo pigmento naturale, in quanto Israelita – di Czestochowa, in Polonia; quella, sempre bruna, di Loreto (accanto alle Vergini di Fatima e Lourdes, o Medjugorje – che sono però “europee”, dal viso “bianco”) e quella di Montevergine (Irpinia). Sempre scura di carnagione. Inoltre, è molto sentito l’affetto verso la Madonna delle Grazie a Sava di Baronissi (nel Salernitano) e verso altre icone o simulacri mariani (Avvocatella a Cava de’ Tirreni, eccetera). Anche la Madonna di Sant’Anastasia (nell’hinterland partenopeo), la celebre Maria dell’Arco, è scurita di pelle. Un colore di pelle similare è anche rintracciabile, in gradazioni minori, nella Madonna Incoronata. Tra Montoro (verdeggiante località in Campania) e Foggia (ridente centro pugliese). Nelle zone, appunto, campane (e non soltanto) vi era l’uso di recarsi all’Incoronata. La domenica susseguente alla Pasqua – detta, perciò, “Ottava” di Pasqua. Si ricordino, a tal proposito, le cosiddette “sette sorelle”: sette santuari diversi eretti in onore di Maria, nel circondario tra Salerno e l’Avellinese (e non soltanto).
A Montevergine, Monte Partenio, si venera “Mamma Schiavona”, la Madonna che “protegge” i “femminielli” – i gay, gli effemminati – che a febbraio vi si recano in pellegrinaggio. Si chiama Schiavona per due motivi principali: gli schiavi la pregavano mentre si dirigevano al mercato (per essere venduti) oppure andavano al patibolo. La seconda ragione è che – hanno detto alcuni esperti – era “brutta” più delle altre. Proprio per il colore bruno con cui è raffigurata ed effigiata. Simbolo della terra scura (“Gea” o “Gaia”).
Anna Maria Noia