Ai miti belli delle nostre estati

Chi glielo dice a chi è giovane adesso di quante volte si possa sbagliare,
Fino al disgusto di ricominciare perché ogni volta è poi sempre lo stesso.
Eppure il mondo continua e va avanti con noi o senza e ogni cosa si crea
su ciò che muore e ogni nuova idea su vecchie idee e ogni gioia su pianti.

Rimasi folgorata, non potevo sapere che quella canzone sarebbe diventata la hit della mia giovane vita. Ogni diario, ogni foglio, ogni pagina iniziava sempre così “E’ in gamba sai, legge Edgar Lee Masters. Mi ha detto no, non dovrei mai pensare / Le sigarette con rabbia fumate, i blue jeans vecchi e le poche lire/ Sembrava che non dovesse finire, ma ad ogni autunno finiva l’estate/.

L’estate finiva distrattamente anche nel Settembre del 1978, annus terribilis della mia maturità, ed io mi infilavo i pantaloni buoni canticchiando ‘Eskimo’ (canticchiando proprio no, urlando a squarciagola dalla finestra spalancata), che mi sentissero ‘gli altri’. Quelli del ‘Giardino dei Semplici’, per capirci.

Passano gli anni ed io sempre lì a dire che ‘Francesco Guccini è il mio Dio’ (che non è morto), che ‘vedi cara, le stagioni ed i sorrisi son denari che van spesi con dovuta proprietà’. Francesco Guccini…lo infilo dappertutto, mentre spiego Guido Gozzano mi esce spontaneo un verso del ‘Francesco’ che canta, in ‘Incontro’, di stoviglie color nostalgia che somigliano, più o meno, agli occhi color stoviglia sbiadita della più famosa Felicita.

Ma chi era la donna dai cerulei occhi che Francesco incontra correndo sulle scale, chi era la biondina ‘senza averne l’aria’ che mescolava birra chiara e Seven-up, chi era la triste signora del tango da balera e chi sono quelli della Società bocciofila modenese allungata sull’Emilia sdraiata sui campi e sui prati? Non lo sapremo mai e lui non ne parla, lo fa apposta, mica siamo in un romanzo giallo, suvvia!

Di Guccini mi incantano le rime, le frasi fulminee, le citazioni colte (ora Montale, ora Pascoli, ora Gozzano). Di Guccini mi lacera la malinconia, la rabbia giovane, i ricordi del concerto a Piazza Maggiore dell’84, la sintassi complicata che ti obbligava a stare attenta perché mi sentivo piccolissima e lo immaginavo vecchissimo davanti all’uscio della sua casa a Pàvana.

Canzone delle osterie di fuori porta’ è di quando aveva 34 anni, io la canto da sempre a tutti quelli la cui ‘morta vita’ è sempre uguale, e mi sembra sempre di aver fatto loro un dispetto grande. Mica volete impedirmi di cantarla ‘politicamente’ in questi mesi di movimenti spuntati?

E stavolta insieme ai suoi ottanta anni potremo festeggiare l’ingresso del suo libro, ‘Tralummescuro’, nella cinquina del Campiello. Tralummescuro, parola meravigliosa che indica l’ora tra la luce e la notte. Un po’ come la Marialonga di mia madre, che non si sapeva mai a che ora venisse a prendermi.

Guccini è uno scrittore totale. Eskimo, Vedi cara e Autogrill hanno la perfezione di un racconto di Cechov, tuttavia, per gli ascoltatori raffinati, ‘Ballando con una sconosciuta’ è la canzone ‘perfetta’ per perdersi nelle lacrime per un amore finito. Ecco l’ho detto, se voglio piangere aspetto queste parole:

E noi siamo sempre veloci a cambiare canale,
ma coi piedi piantati per terra, guardando la vita con aria distratta,
senza entrare nel campo magnetico della felicità,
felicità che sappiamo soltanto guardare, aspettare, cercare già fatta,
quasi fosse anagramma perfetto di facilità,
barando su un’unica lettera…

Conosco le parole di tante canzoni, ma sono poche quelle che si cantano ancora a squarciagola negli stadi con il pugno chiuso; Guccini ha chiuso tutti i suoi concerti con una platea di quindicenni (e di nostalgici) a pugno alzato ‘lanciata bomba contro l’ingiustizia’.

Con la spietatezza dell’io narrante del Francesco chiudiamo così ‘ Tornate a casa nani, levatevi davanti, per la mia rabbia enorme mi servono giganti’.

Foto di copertina da https://www.ravennaedintorni.it/

Maria Rosaria Onorato

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