Ci sono libri che ti lasciano amaro in bocca, non per quello che contengono, ma per il semplice fatto che ne hai appena terminato la lettura e già ti manca quel sereno scorrere di parole.
Il libro di Sandro Bonvissuto è uno di questi. Già dalle prime righe capisci che quella figura in copertina, quella maglia giallorossa, quel parlare di una squadra, anzi dell’amore per una squadra, sono solo un pretesto per parlare di altro.
“La vita incomincia quando si nasce, la vita inizia quando si comincia ad amare”, ed è di amore che si parla in questo romanzo, amore verso una squadra ma anche amore verso una famiglia, amore verso una comunità, verso “Noantri”.
Bonvissuto prende a pretesto l’affetto di un ragazzo, verso i colori della squadra del cuore, per proporci dei ritratti antropologici, riportarci indietro nel tempo, a quando anche il calcio, come la vita, era più semplice, oseremmo dire ingenuo. L’autore a tratti ci invita a fare ragionamenti filosofici, del resto lui in Filosofia è laureato . C’è una sottile linea che accomuna tutti gli argomenti, non il calcio, che come già abbiamo detto è un pretesto, ma l’ironia, la freschezza delle idee espresse in maniera semplice ma che arrivano dritte là, dove devono. Con La Gioia fa parecchio rumore si ride, si sorride ma soprattutto si riflette, anche e soprattutto sull’importanza della famiglia: “Me lo ha insegnato la mia famiglia, perché a questo serve una famiglia, e la mia, a me, ha insegnato tanto. Tutto ciò che doveva”.
Sandro si è Laureato in filosofia alla Sapienza Di Roma, esordisce come scrittore nel 2010, pubblicando la raccolta Nostalgia del vento (Amaranta editrice) composta da tre racconti. Nel 2012 pubblica per Einaudi la raccolta di racconti Dentro, con cui vince il Premio Chiara 2013 ed è selezionato tra i finalisti del Premio Dessì 2012. Sempre per Einaudi, nel 2013, è co-autore dell’antologia Scena Padre. Sandro intanto lavora come cameriere in una trattoria di Roma.
Ho conosciuto Sandro Bonvissuto durante una presentazione del suo libro, all’interno di una rassegna letteraria. Ho avuto sentore di avere di fronte una persona “sorprendente” già dalle prime parole del relatore della serata che, con un sorriso, affermava:” A me affidano quelli strani”.
Il fatto che il relatore fosse lo stesso che ha dialogato con me, durante la presentazione di un mio libro, mi ha tolto ogni dubbio sul fatto che dicesse il vero.
Sandro “strano” in effetti lo è nella eccezione migliore del termine, perché oggigiorno è “strano” incontrare persone simpatiche, colte e umili allo stesso tempo. Forse la cosa più strana è la sua capigliatura “Rasta”, che all’inizio quasi ti sembra stridere con il resto del personaggio, salvo poi ricrederti sino a non poterlo immaginare acconciato in nessun altro modo. Perché lui è già un insieme di contraddizioni, che, amalgamate tra di esse, sommate alla sua bravura letteraria, formano un mix che ne farebbe un personaggio degno dei migliori palcoscenici culturali e non solo, in un mondo ideale dal quale siamo ben lontani dall’essere.
Nel libro si parla molto di calcio, o meglio molto delle ROMA, anche se pare solo un pretesto per raccontare altro. In occasione di una presentazione del tuo libro hai detto che il calcio non ti appassiona, da dove deriva allora la scelta di usarlo come filo conduttore del romanzo?
Mi piacciono i libri che parlano di qualcosa mentre parlano di qualcos’altro, come avessero due voci, una palese e una nascosta, segreta, subliminale, sussurrata. Al centro del libro ci sono i sentimenti, e il calcio smuove grandi passioni come un fiume in piena
Da qualche parte ho letto che nessuno come un cameriere può essere più adatto a scrivere un romanzo. Probabilmente questo deriva dalle occasioni che questa professione da di relazionarsi con la “varia umanità” e di incontrare personaggi più o meno coloriti. SI dice anche che uno scrittore mette nei personaggi che inventa parti di persone che realmente esistono o sono esistite. Quanto di questo c’è nel tuo libro?
Mi convinsi di questo rapporto sano fra la scrittura e il lavoro da cameriere leggendo il grande B. Hrabal, ma la verità è che per scrivere sarebbe meglio stare a casa, condurre una vita tranquilla, e mettere tutta la trasgressione nella scrittura. Io comunque faccio il cameriere, e devo scrivere da questa condizione. Quando non si può scegliere bisogna cucinare il pranzo per la famiglia con quello che si ha a disposizione
La vita non inizia quando uno nasce, la vita inizia nel momento in cui si inizia ad amare”, inizia il tuo libro. L’amore come sentimento vitale. Non importa tanto “l’essere amati” ma “l’amare”. L’ amore per la Roma sembra un pretesto per parlare di quello che sembra essere il protagonista, neppure tanto occulto, del libro, l’amore stesso”…è così?
Ma certo, il libro cerca di indagare un sentimento di cui si parla moltissimo ma mai in modo definitivo, o esaustivo, ed è proprio l’amore. L’ amore è vitale e pieno di mistero proprio come la vita stessa.
In “La gioia fa parecchio rumore”, ci sono anche dei ritratti antropologici di una società che negli ultimi tempi si è quasi totalmente trasformata …rimpianti?
Non ho rimpianti nei confronti del passato, non si può essere contro il progresso o contro il passare del tempo. I grandi libri, i classici soprattutto, risultano sempre attuali alla lettura quanto più sono calati o ancorati nel loro tempo. Il valore della testimonianza resta, ma non esiste un tempo meglio di un altro, il tempo è universale ma la vita e il valore che noi gli attribuiamo sono sempre soggettivi.
Conclusa la nostra conversazione ho la netta visone di Sandro che, mentre asciuga le posate, nella trattoria dove lavora, vede scorrere in TV le immagini di scrittori che ritirano premi letterari, altri ospitati nelle reti nazionali, durante Talk show patinati. Probabilmente tra di loro ce ne sono tanti che non hanno nemmeno la minima parte della sua esperienza di vita, della sua preparazione, del suo essere. La vita del resto è cosi, oppure, semplicemente, questo è il mondo che ci siamo cuciti addosso, forse a volte troppo in fretta e male, tanto che a volte ci sta stretto. Rifletto sull’editoria moderna, sul marketing, sulle classifiche di vendita scalate da libri che hanno dalla loro parte solo il nome dell’autore, magari un VIP o una star dello spettacolo o dello sport. Vedo i salotti televisivi frequentati dal nulla cosmico e il conduttore di turno prostrarsi di fronte a chi spesso nel “suo” libro ha messo solo il nome.
Penso però anche ai tanti che continueranno a scrivere storie bellissime, degne di attenzione da parte degli addetti ai lavori, anche rimanendo a lavorare magari in una trattoria o in un cantiere. Quello che mi fa ben sperare è che ci siano ancora case editrici, di chiara fama, pronte a scommettere su di loro. Ciò che rasserena è che ci sia gente capace di scrivere cose che ti emozionano, e che fanno diventare un libro un qualcosa da cui non separarsi mai.
Antonello Rivano