Referendum del 17 Aprile: perché andare a votare è un’esigenza
Il 17 aprile prossimo, saremo chiamati – il Popolo Italiano sarà chiamato – a esprimerci con lo strumento democratico per antonomasia: il referendum. Nel quesito, unico, si chiede, in pratica: “volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?”. Il quesito, quindi, riguarda solo le trivellazioni già in atto, entro le 12 miglia dalla costa (22,2 km) e non sulla terra ferma oppure oltre i limiti delle acque territoriali.
Indipendentemente dalle posizioni personali, legittime, che porteranno ogni singolo cittadino a scegliere tra il Sì e il No occorre fare un’analisi serena e senza riserve mentali dell’argomento.
Se dovesse vincere il Sì, in pratica, sarebbe abrogato l’art. 6 comma 17 del Codice Ambiente, dove è previsto che le trivellazioni possano continuare, previo proroga delle concessioni, fino a totale esaurimento del giacimento. Con la vittoria del SI, quindi, si bloccherebbero le trivellazioni entro le 12 miglia dalle coste italiane alla scadenza dei contratti.
Se dovesse vincere il No, o peggio ancora l’astensione, le cose andrebbero avanti tal i e quali…
Una prima considerazione è che il referendum riguarda solo alcuni giacimenti di estrazione presenti nel “nostro” mare e, comunque, all’interno delle acque territoriali (12 miglia) e non interessa in modo alcuno le attività in corso e future sul suolo nazionale. I punti di estrazione nell’Adriatico e nel Mediterraneo non saranno oggetto del quesito, per intenderci. Appare evidente che non sarà la chiusura di pochi giacimenti, con la vittoria del Sì, a preservare un mare “chiuso” come il Mediterraneo da un poco probabile, ma comunque possibile, incidente. E forse proprio questo aspetto appena richiamato rafforzerebbe il Sì per il sistema Italia. Un incidente a ridosso delle nostre coste sarebbe devastante, per la flora e la fauna marina, e apocalittico per la nostra economia.
Una seconda importante considerazione sarebbe capire quanto “vale” in termini energetici l’estrazione del petrolio per il nostro Paese, e qui si apre uno scenario interessante. Il documento di “Strategia Energetica Nazionale” (2013/2015) recita che l’Italia è un Paese dipendente dai combustibili fossili e più del 90% del combustibile necessario è importato. L’obiettivo, come recita il documento strategico, è quello d’incrementare l’utilizzo delle “importanti” risorse nazionali. Attualmente l’Italia consuma 135 MTep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) per il proprio fabbisogno energetico annuo. Secondo il Governo nel nostro sottosuolo sarebbero disponibili oltre 700 MTep di energia disponibile. Cioè, se decidessimo di non importare più idrocarburi saremmo indipendenti per poco più di cinque anni. Una politica energetica alquanto discutibile, a parere dello scrivente, che pensa unicamente al breve periodo ma non si proietta sul
lungo. Si continua a ipotizzare lo scenario di “sfruttamento” delle risorse naturali e non di “sostituzione” a diverse fonti energetiche.
Altro aspetto importante è porsi la seguente domanda: quanto guadagna l’Italia, da queste attività, o guadagnano solo i petrolieri? Per estrarre petrolio le compagnie devono versare le cosiddette royalty (versamento di denaro a fronte dello sfruttamento di beni) e in Italia sono pari al 7% del valore estratto, non potenziale. Il valore italiano delle royalty è tra i più bassi al mondo, basti pensare che in Canada si arriva fino al 50% e in Francia al 30%. All’Italia, quindi, cosa resta se non lo sfruttamento del sottosuolo?
Il 17 aprile la posta in palio sarà ben più alta di quella che appare. Non si tratta di chiudere pochi “fori” e far passare in secondo piano un aspetto fondamentale: quale sarà la politica energetica del nostro Paese? Quale sarà il futuro dell’economia delle prossime generazioni? Sarà un’indicazione precisa per la scelta della politica energetica da progettare per la prossima generazione italiana. Non sarà la chiusura di qualche pozzo a determinare l’utilizzo di petrolio nel nostro Paese, ma sarà una chiara indicazione della direzione in cui andare. Attuare una politica energetica alternativa a quella petrolifera, ad appannaggio di poche lobby e causa di tutti i conflitti attualmente in corso, mascherati a volte dietro nobili intenzioni, è un appuntamento con la storia a cui nessuno può sottrarsi. Sarà voler affermare che la nostra economia non è il petrolio, visto anche l’esiguo ricavo (7%) per il popolo italiano.
Sarà un indirizzo verso il “rinnovabile” e il necessario potenziamento del settore della “ricerca italiana”, vera punta di diamante della nostra penisola fin dal tempo degli antichi greci e oggi ridotta al peggiore dei mendicanti. Il 17 aprile, indipendentemente, che pensi Sì o No, è tuo dovere andare a votare!
Francesco Saverio Minardi