Il consumo di suolo: una storia senza lieto fine?
Non c’è alcun dubbio che negli ultimi due secoli i processi di urbanizzazione hanno cambiato e modificato la forma e le dimensioni delle città occidentali. La popolazione urbana che nel 1800 rappresentava solo il 2% della popolazione mondiale, negli ultimi due secoli è costantemente cresciuta, arrivando a oltre il 50% negli anni 2000, con un trend sempre crescente.
Il primo cambiamento, non solamente in senso urbanistico, avviene quando avviene il “cambiamento” di stile di vita della popolazione mondiale che si ha nel 1800, prodotto anche e soprattutto dalla rivoluzione industriale, quando nutrite masse di contadini si spostano dalla campagna alla città per trovare nuovo lavoro all’interno delle industrie, lavoro più sicuro e maggiormente retribuito rispetto a quello dell’agricoltura, all’epoca era così. Sempre più industrie vengono impiantate e sempre più popolazione accorre, creando una continua domanda di alloggi e servizi minimi.
L’allargamento delle città, e quindi il consumo del suolo, è dovuto quindi a due fattori importanti: la crescita economica e industriale, e un forte e costante aumento demografico. Questi sono gli anni in cui le grandi città europee cambiano aspetto e forma: esempi sono Londra, Parigi e Vienna, che per una miglior vivibilità, e per un maggior controllo sulle nuove masse che giungono per condizioni migliori di vita, cambiano e si modificano per affrontare le nuove esigenze. Le città diventano sempre più grandi e si iniziano a creare le prime differenziazioni tra centro, abitato dalla borghesia, e periferia dove le masse proletarie si ammassano in sobborghi angusti. Questo è il leitmotiv che si sussegue per tutto il secolo fino alla fine del secondo conflitto mondiale.
Un ulteriore cambiamento delle città avviene dopo il secondo dopoguerra. La seconda guerra mondiale, soprattutto per i paesi che avevano subito l’evento sui propri territori, aveva portato a un depauperamento degli antichi centri, di cui molto era stato distrutto e poco era recuperabile, ma la volontà e la voglia di riprendersi era forte e c’era bisogno di una veloce ricostruzione. In questo frangente sempre più le città-industriali iniziano a diventare città di servizi. Gli stabilimenti produttivi presenti all’interno dei centri urbani iniziano a spostarsi nelle arie periferiche o lungo i principali snodi di comunicazione. Intanto la ricostruzione è spedita, e tanto – e in malo modo – si costruisce per una esigenza abitativa forte. Anche se le città perdono la loro funzione produttiva, la quota di popolazione inurbata continua a crescere, pur con dinamiche diverse rispetto al passato. Le città grandi iniziano a perdere popolazione in favore della corona di comuni limitrofi. Si crea il fenomeno dell’urban sprawl, cioè la diffusione – o dispersione – urbana, che provoca la creazione di città senza confini e senza una reale visione unitaria. Le cause di questo fenomeno sono tante e diversificate. In Italia numerosi studiosi hanno provato a delineare e ad analizzare le cause più importanti, come la delocalizzazione delle industrie.
Senza però un’attenta riqualificazione delle strutture abbandonate e la costruzione di villette monofamiliari che sempre più occupano suolo, la cementificazione dovuta a una mancata programmazione urbanistica seria la fa da padrona.
Probabilmente il periodo in cui si è avuto il massimo consumo di suolo in Italia è tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80. È questo, infatti, il periodo in cui inizia la crisi per numerose imprese, soprattutto manifatturiere, che fino a quel momento avevano avuto un ruolo preminente nella scena economica del paese. Proprio per questo la classe imprenditoriale decise di investire su comparti meno esposti alla concorrenza, e in grado di garantire ancora ampi margini di profitto. In altre parole l’investimento “del mattone” diventò rifugio per molti imprenditori e occasione di speculazione per il sistema industriale entrato in crisi. In tutto ciò si aggiunse la politica, che in maniera passiva ma non disinteressata, vedeva di buon occhio questo fenomeno come guadagno elettorale e personale. Tantissime città che erano uscite integre dalla seconda guerra mondiale vedono modificarsi in modo irrazionale e molto spesso senza una reale visione di questi anni, ma nonostante tutto ci troviamo ancora in una fase di crescita demografica e di situazione economica in bilico.
Oggi la situazione in Italia non risulta diversa dagli anni ’80. Mentre numerosi paesi europei, e la stessa Unione Europea, hanno compreso gli errori del passato cercando di eliminare o abbassare il consumo di suolo, o almeno una razionalizzazione riguardo la creazione di alloggi o infrastrutture, in Italia siamo più incerti sul percorso da intraprendere. Mentre la Germania ha fissato l’obiettivo di consumo zero per il 2050 e l’Inghilterra cerca di conservare le zone agricole privilegiando il verde pubblico, in Italia si balbetta cercando una soluzione che accontenti un po’ tutti. Come ha anche affermato Legambiente, molto attiva su questo versante, l’Italia è un paese con una fortissima tendenza a cementificare disordinatamente il suolo libero, soprattutto nel sud e soprattutto nei piccoli centri, i quali non sono in grado di poter resistere a spinte politiche, e quindi costretti, ma non troppo, a modificare suoli verdi in suoli da cementificare.
Rimanendo più vicini a noi, ciò che realmente colpisce è che, confrontando i piani urbanistici dei diversi comuni, tranne qualche piccola eccezione, si continua a considerare un consistente aumento insediativo avallato da previsioni e proiezioni che invece di basarsi su processi storici o dati reali si basano su meri calcoli matematici guidati dall’occhio vigile della classe politica. Il piano territoriale di coordinamento provinciale di Salerno assegna numerosi alloggi ai singoli comuni, anche se negli ultimi quindici anni la popolazione nell’intera provincia è aumentata di 30.000 abitanti ma con un trend in diminuzione negli ultimi anni. Sempre nella nostra provincia il saldo naturale dal 2009 è sempre in negativo e ormai sono tanti i giovani che scappano per opportunità di lavoro. Allora la domanda da porsi è: in passato si costruivano numerosi alloggi perché c’era un forte aumento demografico e una forte spinta economica, oggi perché continuiamo a costruire e a occupare suolo? Possibile che la classe dirigente tutta sia così miope?
Galante Teo Oliva