Il Salento in rivolta contro la costruzione del gasdotto Tap
Il Salento è in piena rivolta contro la costruzione del gasdotto Tap nelle campagne limitrofe a San Foca, località balneare di Melendugno, in provincia di Lecce. Non ci stanno proprio i salentini, non accettano la costruzione del micro-tunnel che, estendendosi per 878 km, dovrebbe distribuire in Italia il gas proveniente dall’Azerbaijan. Un intervento che, secondo gli abitanti, metterebbe a rischio le bellezze paesaggistiche del luogo e la salute stessa di chi ci vive, ma soprattutto non si ammette che vengano sradicati ben 211 ulivi, quegli alberi a cui i salentini sono così legati poiché simbolo forte della loro terra e della loro economia. Contro la Tap si era formato un comitato già nel 2012, sostenuto dagli enti istituzionali locali anch’essi contrari a una decisione del Ministero dell’Ambiente su cui nessuno sembra essere d’accordo.
Così, dal 15 marzo scorso, da quando sono iniziati i lavori per la costruzione del gasdotto, ha preso il via una manifestazione che negli ultimi giorni ha assunto una piega alquanto violenta. In trecento, tra giovani, donne, famiglie, anziani, si sono piantonati in quegli uliveti per ostacolare il passaggio dei camion degli addetti ai lavori, urlando il loro no all’espianto degli ulivi. Tra i manifestanti, in prima linea il sindaco di Melendugno, Marco Potì, affiancato da molti colleghi, tra i quali Stefano Minerva (Gallipoli), Luca De Carlo (Vernole) Giuseppe Colafati (Poggiardo), Francesco Rausa (Ortelle), Leandro Rubichi (Cannole), Fabio Tarantino (Martano), Andrea De Pascali (Castri), Salvatore Piconese (Uggiano) e Valentina Avvantaggiato, vicesindaca di Melpignano, ai quali si aggiungono i consiglieri regionali Cosimo Borracino, Antonio Trevisi e Cristian Casili e la parlamentare Daniela Donno. Anche il Presidente della Regione Michele Emiliano si è detto al fianco di chi protesta e invita il governo ad ascoltare le voci dei cittadini, proponendo inoltre di spostare il gasdotto nei pressi di Squinzano, altro paese leccese, dove l’impatto ambientale sarebbe minore e annunciando un ricorso per risolvere la situazione ormai degenerata.
Quando sono stati lanciati i primi sassi contro poliziotti, carabinieri e operai, gli agenti di polizia sono dovuti ricorrere ai manganelli, ferendo così sei manifestanti, mentre due uomini appartenenti alle forze dell’ordine sono stati colpiti da pietre. I primi a essere allontanati in maniera violenta sono stati proprio alcuni dei sindaci e politici lì presenti, un paradosso in cui lo Stato va contro lo Stato stesso, che Potì riassume così: «È una giornata triste per la democrazia. Quando sono avvenute le cariche sono stato allontanato insieme a sei sindaci con la fascia, a consiglieri regionali, a donne e bambini: il capo di una società privata ha chiesto e ottenuto la protezione dello Stato italiano per fare la sua attività e lo Stato italiano ha inteso assecondarlo malgrado il parere negativo di istituzioni e cittadini». Il consigliere regionale Cristian Casili, invece, dichiara di riportare lividi sulla schiena causati dalle spinte della polizia con gli scudi. Otto i feriti durante gli scontri, sei attivisti e due poliziotti, mentre il sessantacinquenne Ippazio Luceri, che da giorni aveva intrapreso lo sciopero della fame come forma di protesta, è stato colto da un malore e portato d’urgenza in ospedale, stessa sorte capitata a un operaio e un altro manifestante, causata probabilmente della forte tensione. Quelle a cui si può assistere in questi giorni nel Salento sono scene di vera e propria guerriglia, che sembrano non placarsi e che ricordano quelle avvenute nella Val Di Susa contro la Tav. Aumentano gli agenti antisommossa alle prese con gente che non vuole proprio saperne di arrendersi, decisa a presidiare quei luoghi rimanendo lì anche la notte e dormendo in tenda, dichiarandosi addirittura pronta a morire per la propria terra. A nulla sono valse le sollecitazioni da parte della Prefettura di Lecce verso il Ministero dell’Ambiente, poiché, come lo stesso ministro Galletti afferma: «Il gasdotto a San Foca è l’ipotesi più idonea». I camion, seppur scortati, continuano in ogni caso a trasportare gli ulivi già tagliati che finora ammontano a 91. I lavori, tra scontri verbali e fisici che coinvolgono davvero tutti tra cittadini, militari, Stato e autorità istituzionali pugliesi, dovrebbero terminare entro la fine della settimana e, nonostante le forti proteste, il destino di San Foca e di quegli alberi di ulivo sembra ormai già segnato.
Giovanna Ciracì