La Meglio Gioventù. Davide Abbatescianni e il cinema: “In Italia poco spazio per l’innovazione”
Il regista francese François Truffaut diceva che «fare un film significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, significa prolungare i giochi dell’infanzia». In Italia, il mondo del cinema – in barba alle sentimentali parole “truffauttiane” – rischia di diventare sempre più una pellicola horror di serie B, nonostante la nuova riforma del Governo, grazie alla quale è stato costituito il “Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e l’audiovisivo”: un gruzzolo che a partire dal 2017 ammonterà minimo a 400 milioni di euro. Il problema è che se non si attiva un sistema virtuoso che valorizzi il lavoro nazionale e leghi i tanti centri di formazione creativa a un reale contesto professionale, a farne le spese saranno sempre le ondate di nuovi giovani artisti. Circuiti asfittici, clientelismi politicizzati, scarsa propensione al sostegno dei ragazzi, distacco tra lezioni teoriche e pratica sul campo. Un ventenne che volesse intraprendere il lavoro di attore, cineasta, sceneggiatore o qualsiasi altra occupazione di quel magnifico mondo dell’infanzia trasferito sul grande schermo, come lo intendeva Truffaut – ma il maestro era francese e, si sa, in Francia la settima arte è da sempre concretamente tutelata da “invasioni barbariche” – ecco, quel ragazzo resterebbe frastornato e senza guida, nudo davanti alle proprie ambizioni. Soprattutto, invischiato nel fantastico mondo dell’investimento a perdere, di tempo e soldi. Molti giovani preferiscono approdare ad altri lidi ed esplorare sistemi didattico-lavorativi di paesi lontani dalla tradizione italiana ma che stanno prendendo piede nel campo della formazione e del sostegno all’arte. Davide Abbatescianni è un 24 enne, figlio della meravigliosa terra di Bari. Laureatosi in Scienze della Comunicazione, ha deciso di partire per l’Estonia e adesso sta costruendo la sua carriera lì, a Tallin, città capitale.
Davide, perché l’Estonia?
«Ho scelto l’Estonia perché al termine dei miei studi ero intenzionato a cercare un buon master di cinema all’estero. Un mio caro amico si era da poco trasferito a Tallinn e mi aveva parlato entusiasta della Baltic Film School, l’unica accademia cinematografica internazionale pubblica del Nord Europa con corsi di laurea interamente in lingua inglese. Ero sempre stato affascinato dai paesi nordici e l’Estonia, nonostante il suo passato sovietico, è a tutti gli effetti un paese di cultura finnica e una realtà europea in crescita – anche dal punto di vista cinematografico, basti pensare ai recenti “Tangerinese” “The Fencer” – con un costo della vita decisamente più contenuto. Il master, inoltre, assicurava una didattica di qualità, ottime prospettive lavorative e la possibilità di usufruire di alcune borse di studio. Fortunatamente ne ho vinte due, ho passato le selezioni per accedere ai corsi e oggi, a distanza di un anno e mezzo, sono in procinto di laurearmi».
Quando hai deciso che avresti fatto cinema nella tua vita?
«In realtà ci pensavo già da quando ero piccolo. Quando ero un bambino mio padre mi raccontava spesso storie bizzarre e fantasiose e questo ha stimolato molto la mia immaginazione, fin da subito. Poi, ho avuto la fortuna di iniziare a recitare presto. Ho fatto il mio primo spot pubblicitario durante gli anni dell’asilo, facendo da testimonial per un negozio di giocattoli. A un certo punto, giocando e divertendomi, ho capito che un giorno avrei dovuto fare del cinema per non perdere gli attimi e le emozioni vissute a teatro. Il cinema produce immagini che restano e sono immortali; l’atto teatrale, invece, pur avendo un impatto emozionale fortissimo, muore nel momento stesso in cui nasce. Ho studiato teatro in accademia con la consapevolezza di dover acquisire un mezzo per fare della buona regia cinematografica, una volta diplomato».
Secondo te perché l’arte in Italia non è giustamente valorizzata né entra in una logica di economia virtuosa?
«Molti artisti disdegnano o non coltivano adeguatamente l’attività promozionale – fondamentale agli inizi della carriera, non hai un agente che promuove la tua professionalità – ed hanno quasi “paura” di diffondere i loro lavori; le istituzioni stanziano budget risicati e i privati non hanno ancora colto pienamente il potenziale delle iniziative culturali; il clientelismo e le raccomandazioni sono una realtà estremamente scoraggiante; le condizioni dei lavoratori dello spettacolo sono pietose; la convinzione che per produrre arte non sia necessaria alcuna forma d’istruzione e basti solo il talento; la mancanza di un sistema di formazione (soprattutto integrato a livello universitario, come negli altri Paesi europei) per i lavoratori dell’arte integrata con il sistema produttivo. Ora come ora occorre per riuscire a fare qualcosa lavorare molto e duramente, senza fermarsi mai e potersi lamentare minimamente. Una parte degli artisti, purtroppo, lavora poco e si lamenta troppo. Un’altra parte cede alle logiche “politiche”. Un’altra parte lotta e soffre, talvolta con esiti tragici. Un’altra si arrende. Un’altra – molto piccola – spicca, per merito, per fortuna o per entrambe. È sempre stato così, per carità, ma la situazione attuale così com’è distrugge più che costruire».
Quali esperienze didattiche e professionali hai avuto in Italia?
«A partire da 18 anni ho studiato regia teatrale per tre anni presso un’accademia pugliese, ITACA – International Theatre Academy of the Adriatic e, al contempo, ho conseguito la laurea in Scienze della Comunicazione presso l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Ho lavorato su alcuni set – tra cui quello di una celebre serie TV della Rai – e per alcuni spettacoli teatrali, principalmente come attore e aiuto regista. Prima di partire per l’Estonia, ho anche frequentato un corso professionale per aiuto registi e segretari d’edizione».
Cosa stai studiando adesso in Estonia?
«Ora sto completando un Master of arts in regia documentario, un titolo equivalente alla nostra laurea specialistica. Il corso ha durata biennale e prevede studi principalmente incentrati sulla regia e sulla produzione cinematografica».
Come vedono lì, il nostro cinema?
«Il cinema italiano è percepito in maniera sostanzialmente positiva. Ciononostante le 603
percezioni positive sono principalmente dovute al nostro glorioso passato. I nostri insegnanti molto spesso ci mostrano spezzoni di grandi autori, come De Sica, Pasolini, Rossellini e tanti altri. Sottolineano l’unicità di questi autori e il contributo inestimabile che hanno dato al cinema mondiale. Tuttavia, devo dire che la tradizione documentaristica italiana è considerevolmente più debole. È un mercato strano, l’Italia… Pochi vogliono investire nel cinema del reale, infatti. Anche la nostra TV pubblica, rispetto ad altri canali europei come ARTE e BBC, produce e investe molto poco nei generi del documentario. Per questo motivo molti registi italiani cercano sempre più spesso finanziamenti in Francia, in Germania e in Scandinavia. Paradossalmente anch’io nel mio piccolo sto partecipando a molti festival con il mio corto, di produzione estone, in qualità di regista estone».
Come trascorri le tue giornate nel paese straniero? Ti dividi tra lavoro e studio?
«Studio, imparo con risultati poco incoraggianti il russo – presto inizierò anche l’estone – porto avanti tre progetti cinematografici e lavoro come copywriter e ricercatore a progetto per una società di ricerca statunitense nell’ambito degli studi sui media. Quando non studio e lavoro, ho una vita normale e qualche volta mi concedo un piccolo viaggio con la mia fidanzata. Tallinn è una città attiva e a misura d’uomo. Mi piace vivere qui».
Perché un giovane cineasta italiano dovrebbe scappare da un paese che ha fatto la storia del cinema mondiale?
«Perché ha fatto la storia (passata) del cinema mondiale ma non si sta preoccupando di fare quella del presente e, soprattutto del futuro».
Torneresti in Italia?
«Rimarrò in Estonia. Al momento sono in contatto con alcune istituzioni accademiche europee per avviare un dottorato di ricerca in arti cinematografiche. Dal momento in cui la mia ricerca è prevalentemente correlata alle tradizioni cinematografiche della Russia e del Baltico, dovrò condurre il mio lavoro qui a Tallinn, sia per quel che riguarda il suo risvolto pratico (un lungometraggio), sia per quello teorico (una tesi di dottorato)».
Quali i tuoi lavori, realizzati fino a oggi nel tuo nuovo paese?
«“Elements of Rehersal in the Bleak Midwinter” è il mio primo cortometraggio, distribuito ad oggi in 8 festival internazionali. Si tratta di una sorta di summa minimalista dell’arte teatrale raccontata in 15 minuti attraverso le esperienze di una compagnia di attori non professionisti estoni. Ho un altro documentario in post-produzione, a carattere autobiografico, intitolato “The Empty Page”. Infine, sto lavorando sul mio progetto di laurea: sarà un documentario su un famoso personaggio della televisione italiana “non umano”. Questi ultimi saranno distribuiti nell’autunno 2016».
Hai scritto una tesi su Fellini. Un Maestro come lui è così difficile che nasca oggi in Italia? Meglio in Estonia?
«Può nascere dovunque. È già nato, in realtà. Il problema vero è: riuscirà a esprimersi nel Paese in cui nasce? Riuscirà a trovare dei produttori che si fidano di lui? Riuscirà a essere compreso dai suoi contemporanei? In Italia c’è poco spazio per la sperimentazione e per l’innovazione, diversamente da molti anni fa. Facevamo anche dei film di genere – avevamo perfino Mastroianni biondo che recitava in film di fantascienza (“La Decima Vittima”) – una volta. Oggi l’Estonia, a dispetto delle sue risorse ancora relativamente limitate, potrebbe sostenere l’esordio di un giovane più facilmente e, chissà, far emergere il “nuovo Fellini”».
Cos’è per te “La Meglio Gioventù”?
«Un film molto bello, tanto per incominciare. Scherzi a parte, non lo so cosa sia. Non credo ci sia una gioventù migliore. In un mondo complesso e straniante come quello in cui viviamo, credo esista una gioventù più forte e una più debole. Comunque, la gioventù più forte non è necessariamente quella migliore. Credo che però si possa essere più forti non smettendo mai di imparare dagli altri e dai propri errori».
Consiglieresti a chi è più giovane di te di lasciare il suo Paese?
«Sì e no. Tutti siamo diversi. Se un ragazzo è in grado di trovare la sua dimensione in Italia ed è contento del suo lavoro, può decidere soltanto di fare una breve esperienza all’estero. Se invece, com’è capitato a me, ci si sente bloccati e schiacciati a tal punto da dubitare delle proprie capacità, è meglio pensare di cambiare lido. Lo scenario è molte volte scoraggiante, nonostante l’impegno profuso. Certamente cambiare paese non risolverà ogni problema ed è sempre rischioso. Non esiste la bacchetta magica, ma esiste la voglia di crescere e uscire dalla propria zona di comfort. Bisogna sapere bene perché e dove si parte e, soprattutto, cosa si cerca. Se si è sicuri di quel che si vuole raggiungere, espatriare potrebbe essere la soluzione più giusta».
Il regista che ti ispira?
«Ce ne sono molti, in realtà. Proverò a elencarne alcuni: Fellini, Tornatore, Wiseman, Weir, Kusturica, Ruttmann, Jonze, Branagh e tanti altri, tutti molto diversi tra di loro».
Il tuo corto “Elements of Rehearsal in the Bleak Midiwinter” ti sta dando soddisfazioni. Dove sarà selezionato?
«È stato presentato a Roma il 29 ottobre dell’anno scorso ed è già stato proiettato in India durante il Frames Film Festival, a Melbourne nella sezione non competitiva “New Filmmakers” del Phoenix Film Festival e a Malta durante il Golden Sun Short Film Festival. Al momento il film è nella short list per il miglior documentario presso il CAMIFF – Cameroon International Film Festival, un nuovo festival africano con i premi più consistenti del continente, dove sarà presentato verso la fine di aprile. Inoltre, “Elements” parteciperà ai Global Short Film Awards di New York e all’Eastern North Carolina Film Festival di Winterville. Sono comunque previste altre proiezioni nei prossimi mesi. Vi terrò aggiornati sul sito del film elementsdoc.wordpress.com e sulla pagina Facebook ufficiale».
A quando un lungometraggio tutto tuo?
«Oltre al lungometraggio da realizzare se dovessi essere ammesso come studente di dottorato, ho in realtà in mente un altro progetto piuttosto ambizioso. Inizierò a lavorarci su più intensamente dopo la laurea. Mi piacerebbe vederlo realizzato nel 2018».
Davide Speranza