Pensieri contemporanei: intervista a Dacia Maraini

Dacia Maraini è una scrittrice, poetessa, saggista, drammaturga e sceneggiatrice italiana che fa parte della “generazione degli anni Trenta”, insieme ad alcuni dei più conosciuti autori della letteratura italiana.

Partendo dai dati sull’astensionismo elettorale, e in particolare sul crollo diffuso del numero dei votanti tra 1° e 2° turno delle ultime consultazioni, si può affermare che la partecipazione politica “affascina” sempre meno?

«Non si dovrebbe votare per fascinazione, ma per fiducia nella politica e per scegliere i migliori fra gli amministratori del bene comune. Certo, tutti gli scandali recenti, hanno deluso e scoraggiato gli elettori. Molti hanno perso completamente la fiducia nella classe politica. A sua volta, i politici, gli amministratori, in maggioranza, non sembrano capire la gravità della situazione e non sembrano disposti, anche solo simbolicamente, a rinunciare ai loro privilegi».

Nell’immaginario collettivo si consolida la convinzione che i partiti siano concretamente in mano a grandi elettori. Secondo lei è vero, perché? E chi sono?

«Non so cosa si intenda per grandi elettori. Diciamo semmai che ci sono i grandi poteri economici che guidano l’opinione pubblica. Ma i piccoli elettori, se si mettessero tutti a votare per un rinnovamento, diventerebbero a loro volta dei grandi elettori, per lo meno di numero e potrebbero cambiare alla base la politica del paese. Per questo è stupido non votare».

A suo giudizio, cos’è e quanto conta la credibilità in politica?

«La credibilità in politica è tutto. Senza credibilità la democrazia muore».

La politica di governo sembra annaspare nel tentativo di dare risposte concrete ai bisogni reali dei cittadini. I numeri disegnano un paese frammentato e al collasso. Qual è il senso di “partito liquido” lanciato da Renzi in una fase in cui l’offerta politica non riesce a incontrare la domanda?

«Il nostro è sempre stato un Paese anarcoide e frammentato, dedito alle risse di campanile. Ma adesso stiamo proprio esagerando. Non si tratta di partiti liquidi ma di partiti suicida. La frammentazione porta alla distruzione e al caos. Se è questo che si vuole…».

Se è vero che la fiducia nelle istituzioni abbia toccato il fondo a quali rischi si espone il Paese?

«Il rischio è il disordine, la perdita di controllo, la guerra fra fazioni nemiche».

Gli sbarramenti elettorali privano la rappresentanza parlamentare a molti milioni di votanti. Come si coniuga questo diritto negato con la necessita di governare? E, secondo lei, esiste una modalità alternativa?

«Gli sbarramenti elettorali privano la rappresentanza parlamentare a molti milioni di votanti. Sinceramente non credo che il problema siano gli sbarramenti, che d’altronde ci sono in tutti i paesi del mondo. Abbiamo già troppi partiti. Vogliamo raddoppiarli per permettere a qualsiasi ambizioso di crearsi un suo partito sperando di essere eletto ed entrare in Parlamento con un lauto stipendio e un lauto vitalizio? La governabilità diventa sempre più difficile mano mano che si frantumano i partiti perdendo identità e riconoscibilità».

Nel quadro istituzionale attuale sembra difficile definire quanto il Sud conti nelle priorità dell’agenda politica di governo. Quali sono, secondo lei, i motivi e cosa si può fare per riportare la questione meridionale al centro della partita?

«Purtroppo il Sud conta poco e viene spesso abbandonato a se stesso. Basti pensare alla grave questione dei rifiuti. Molte terre del sud muoiono avvelenate per i rifiuti tossici pericolosi trasportati dal Nord e seppelliti nei terreni più fertili e più belli del Sud».

Qual è il peso specifico delle attività politiche locali e in che modo possono influire sulle dinamiche delle strategie centrali?

«Per fortuna che esistono le attività locali! Proprio ieri sono stata in una piccola città campana: Bacoli. Ebbene, in pochi mesi, con le nuove elezioni, la situazione della città si è radicalmente trasformata: un giovane giornalisti che teneva un blog sulla rete e che denunciava la rapina del territorio, è diventato popolarissimo ed è stato eletto sindaco con la maggioranza assoluta dei voti. Il giovane – Josi Gerardo Della Ragione – ha raccolto accanto a sé un gruppo di giovani appassionati e generosi, pronti a lavorare notte e giorno per cambiare le cose. Il sindaco, come primo gesto, ha rinunciato al suo stipendio e alla macchina blu. Se tutti i paesi della Campania facessero la stessa cosa, l’Italia cambierebbe in poco tempo e la gente ritroverebbe la fiducia nella politica».

Sostanziali e rapide trasformazioni culturali e tecnologiche farebbero pensare che in fondo non si stia peggio rispetto al secolo scorso. Eppure tra la gente si coglie una diffusa sfiducia nel futuro. Come si spiega questa che sembra essere un’apparente contraddizione?

«È vero, nel secolo scorso era molto peggio e la gente emigrava per fame. Ma ora le famiglie, che non sono più contadine, hanno fatto studiare i figli e non sopportano che questi, pur avendo delle competenze specifiche, non trovino lavori degni dei loro studi».

La felicità è un argomento politico? E perché?

«Non credo molto nella felicità, che è rarissima, sia nella vita privata che pubblica. E, di solito, ci si accorge sempre dopo, quando la si è perduta, di essere stati felici. Credo, invece, nel vivere con serenità e nella pace, cose che ogni paese dovrebbe assicurare ai propri cittadini. La felicità si può aspettare dall’amore. Dallo Stato ci si aspetta un buon governo, trasparente, onesto, efficiente. Fatto da persone generose che sappiano dare esempi di civiltà e di dedizione».

Maria Giustina Laurenzi

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