SOSTENIAMO LA LOTTA DEI CURDI.
Iniziativa del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli e del Comune di Napoli.
Il 16 ottobre 2019 nella Sala dei Baroni del Maschio Angioino a Napoli si è tenuta la proiezione del Film Documentario “Nujin-La nuova vita” di Veysi Altai (2016, 45min). Prodotto dagli stessi combattenti. Il film è focalizzato sulla lotta per la conquista della città di Kobane, nel 2015, all’epoca uno dei “santuari” del Daesh (l’Isis), da parte delle forze curde dell’YPG (Unità di Difesa Popolare) e dell’YPJ (la struttura femminile delle stesse). Le due sigle rappresentano le componenti militari della resistenza all’Isis, da parte dei Curdi di Siria, che sono maggioritari nella regione del Rojava, dopo che le truppe di Assad, nel 2012 se ne erano ritirate.
La serata, iniziata alle 18.00, è stata introdotta della Assessore alla Cultura del Comune di Napoli, il dott. Nino Daniele. La prestigiosa struttura ospitante, infatti, situata nel cuore di piazza Municipio, è di pertinenza comunale: la Sala dei Baroni è la sede del Consiglio Municipale. L’Assessore, nel ringraziare il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, che ha organizzato l’iniziativa, ha sottolineato come il Comune, da sempre attento alle lotte per l’affermazione dei diritti umani, della democrazia e dell’autonomia dei popoli, non possa che essere vicino alla lotta dei Curdi.
Prima del film c’è stata un esibizione del noto complesso di musica popolare dei “Zezi” che hanno inteso dare il loro contributo e appoggio alla resistenza curda.
L’intervento successivo di Maurizio del Bufalo, Presidente del Festival, ha presentato il film come parte della sua XI Edizione, che si svolgerà dal 18 al 30 novembre 19. Benché dedicato quest’anno al “Clima che verrà”, il Festival non poteva esimersi dal dedicare un’anteprima introduttiva di solidarietà e riflessione sui Curdi attualmente sottoposti all’aggressione delle truppe e dell’aviazione turca. La Turchia di Erdogan, da sempre in preda ad un esasperato nazionalismo, oggi connotato da forti colorazioni islamiste intolleranti, considera l’insieme dei Curdi come “terroristi”, siano essi turchi, siriani, irakeni, iraniani, ovvero allocati nei principali stati i cui questo “popolo senza stato” abita da secoli. Perciò non tollera formazioni armate curde ai suoi confini. Per questa ragione ha scatenato l’offensiva di ottobre verso il territorio del Rojava. Inoltre aggredendo uno stato sovrano come la Siria.
La proiezione del film, in edizione originale sottotitolata, è stata seguita da un pubblico attento e partecipe, con più di 200 presenze in sala. Il documentario metteva in forte evidenza l’importante apporto delle donne nella lotta. Essa non erano di supporto, o nelle retrovie: ma di prima linea. La componente politica va di pari passo con quelle militare: sono donne emancipate, che hanno scelto di lottare armi in pugno; con assoluta pari dignità degli uomini. E’ un percorso di lotta contro il patriarcato: benchè maggioritariamente di religione islamica, nella particolare declinazione shafeita (una delle scuole di interpretazione coranica), tutta la lotta di liberazione è ispirata a valori non religiosi, ma di indipendenza e autonomia, anche se, in Siria, in un ambito federale. Il film, molto ben montato e fotografato ha dei momenti di pura emozione: come quando la donna ufficiale combattente, dopo aver illustrato le motivazioni del suo fare, esprime in un canto popolare di sola voce, le aspirazioni del suo popolo, come continuando a parlare dei valori della politica. Donna che poi sappiamo essere caduta in battaglia. Il regista in un’intervista via Skype ha motivato l’attacco di Erdogan come vendetta per la sconfitta, ad opera dei combattenti curdi, dell’Isis, in un qualche modo sponsorizzato dai turchi, che commerciavano il petrolio preso in Iraq. Ha dichiarato che la maggiore responsabilità dell’attacco turco ricade sull’Europa che non ha mosso un dito. E che Erdogan, purtroppo, gode dell’appoggio nazionalista di gran parte del suo elettorato: anche perché sul terreno non ci sono i soldati turchi regolari, ma milizie mercenarie, con dentro anche combattenti ex Isis. In chiusura c’è stato l’intervento di una esponente della ONG umanitaria “Un ponte per..” attiva in quei territori, ha dichiarato che è stata costretta a sloggiare dalla regione perché minacciata nell’incolumità dei suoi operatori.
Francesco Capozzi