COVID E LA SINDROME DEL CONTAGIO PET
Negli ultimi giorni circolano sulla stampa e in rete notizie, diffuse anche da fonti autorevoli, circa la possibilità di contagio da Sars CoV-2 in cani e gatti.
La situazione è particolarmente complessa, sia da un punto di vista puramente scientifico che da un non trascurabile punto di vista sociale, considerando che in Italia abbiamo circa 15 milioni di cani e gatti ospitati dal 52% delle famiglie.
Una densità di 53 animali per ogni 100 abitanti, un dato davvero notevole (fonte Censis 2019) che però non tiene conto degli animali randagi che, soprattutto al Sud, hanno un peso specifico anche sulle dinamiche di igiene urbana e sanità pubblica.
Per evitare di scivolare nel torbido del sentito dire e restare incastrati nelle trappole del isteria comune, abbiamo contattato un professionista esperto che, seppur giovane, ha un curriculum di grande rispetto.
Luigi Bruno è un veterinario laureato in medicina veterinaria a Napoli nel 2006, ha una specializzazione in malattie infettive, profilassi e polizia veterinaria conseguita nel 2009 praticata da libero professionista per gli animali da compagnia dal 2006 al 2019 soprattutto nell’area specifica di medicina d’urgenza, terapia intensiva ed anestesia.
Oggi è Dirigente Veterinario presso l’ASL Napoli 3 Sud – Dipartimento di Prevenzione – Servizio Veterinario Sanità Animale – Clinica Veterinaria di Torre del Greco. Si occupa in particolare di randagismo per la provincia sud di Napoli.
Dott. Bruno cosa sappiamo oggi in merito allo scambio di contagio tra esseri umani e animali da compagnia?
«Il Sars-Cov-2 è la causa della infezione respiratoria nota come COVID-19, riportata per la prima volta in Cina nel dicembre del 2019. SARS-CoV-2 si pensa sia originata dai pipistrelli ma, in ogni caso, le fonti intermedie di infezione, sicuramente originatesi nel mondo animale, attualmente restano ancora sconosciute. È importante sottolineare che i coronavirus, come in medicina umana, sono da tempo noti in Medicina Veterinaria poiché colpiscono numerose specie sia domestiche che selvatiche.
Al 2 aprile 2020, a fronte di 800 mila casi confermati nel mondo di COVID-19 nell’uomo, sono solamente 4 i casi documentati di positività da SARS-CoV-2 negli animali da compagnia: due cani, un gatto ad Hong Kong ed uno in Belgio. In tutti i casi, all’origine dell’infezione negli animali vi sarebbe la malattia dei loro proprietari, tutti affetti da COVID-19. Nei due cani e nel gatto osservati ad Hong Kong, l’infezione si è evoluta in forma asintomatica. Il gatto descritto in Belgio ha, invece, sviluppato una sintomatologia respiratoria e gastroenterica a distanza di una settimana dal rientro della proprietaria dall’Italia. L’animale ha mostrato anoressia, vomito, diarrea, difficoltà respiratorie e tosse ma è andato incontro a un miglioramento spontaneo a partire dal nono giorno dall’esordio della malattia.
Questi dati sono importanti, da non sottovalutare e meritano però ulteriori studi.
Pare che il virus replichi anche in altre specie animali (maiali, avicoli) ma anche questa in realtà non è una grossa novità in virologia, basti pensare che il furetto può tranquillamente prendersi la “nostra” influenza e trasmetterla a sua volta, oppure che quella che erroneamente fu chiamata “Influenza suina” è il risultato di un riassortimento genetico di un virus influenzale dei polli all’interno dell’apparato respiratorio del maiale riuscendo poi, purtroppo, a fare il “salto di specie” passando così all’uomo.»
La domanda che ci poniamo ora è quanto dobbiamo preoccuparci?
«Al momento molto poco. Il cane sembra non avere praticamente ruolo nella cosa; su gatto e furetto la comunità scientifica sta approfondendo le conoscenze per chiarire i numerosi dubbi in merito.
E’ interessante segnalare che il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell”Università di Torino sta avviando uno studio per capire le reali dimensioni del fenomeno, ma anticipa che probabilmente sia trascurabile.
Dal punto di vista della mia esperienza personale non ho registrato nessun particolare aumento di malattie respiratorie nei nostri gatti. Ovviamente questo dato va preso con le pinze, anche se l’impressione è la stessa di alcuni colleghi che esercitano in regioni e provincie particolarmente colpite dalla pandemia umana.
Essendo SARS-CoV-2 un virus nuovo, occorre comunque intensificare gli sforzi per raccogliere ulteriori segnali dell’eventuale comparsa di malattia nei nostri animali da compagnia, evitando tuttavia di generare allarmi ingiustificati. Vivendo in ambienti a forte circolazione virale, a causa della malattia dei loro proprietari, non è inatteso che anche gli animali possano, occasionalmente, contrarre l’infezione. Ma nei casi osservati gli animali sono vittime innocenti.»
Proviamo a dare qualche consiglio ai nostri lettori, come dobbiamo comportarci con i nostri compagni animali di casa?
«E’ difficile rispondere a questa domanda. Basandoci sui dati che abbiamo al momento e se nessun familiare e stato colpito da Covid 19, la cosa più giusta da fare è di non variare i nostri comportamenti rispetto all’animale, poiché è trascurabile il rischio di infezione del felino e, soprattutto, quello di diffusione del Coronavirus. Con familiari purtroppo positivi, dovremmo adottare il principio di cautela. Nel peggiore ma improbabile scenario possibile, l’ideale sarebbe evitare contatti anche con il gatto soprattutto in vista di un suo, altamente improbabile, ruolo nella diffusione del virus ad altri conviventi (uomini ed animali). Restano comunque fondamentali le norme igieniche relative sia alle malattie contagiose (lavarsi accuratamente le mani) che alle attenzioni di routine quotidiana utilizzate quando si convive con un animale domestico. Inoltre l’isolamento del gatto, dal punto di vista strettamente comportamentale, rappresenterebbe una importante fonte di stress nell’animale che sarebbe esposto ad altre importanti problematiche sia di natura comportamentale che sanitario.
La cosa più importante resta quella di non farsi prendere da ulteriore panico, ascoltare notizie da fonti ufficiali ed affidabili (che vanno sempre lette con criterio e contestualizzando sempre la situazione) e soprattutto non pensare di allontanare l’animale dal nucleo familiare. Questa cosa, priva di senso e di giustificazione logica, sarebbe solo dannosa per l’animale e per la famiglia che lo ospita poiché ci priverebbe di un affetto importante e incrementerebbe il già cospicuo numero di animali vaganti sul territorio, innescando problematiche peggiori quali diffusione di patologie, possibilità di incidenti stradali, aumento dei costi sul sistema sanitario, ecc.
Vorrei infine sottolineare un aspetto fondamentale, quello che, da un po’ di tempo a questa parte, tutti gli operatori sanitari identificano come ONE HEALTH. E’ una condizione in cui le malattie infettive e contagiose degli uomini e degli animali sono da considerarsi come un’unica entità di studio e soprattutto di prevenzione tenendo conto dei risvolti sanitari, economici e sociali che scaturiscono da epidemie e pandemie. Basti pensare che una delle zoonosi (malattie che si trasmettono tra uomo ed animali) che miete più vittime al mondo è la tubercolosi che ha come principale fonte di infezione il bovino intensamente allevato in tutto il mondo, ma anche la brucellosi, la rabbia, la leptospirosi, la leishmaniosi, l’influenza aviare e tante altre più o meno rilevanti. Tuttavia questo aspetto è sempre poco considerato dagli organi di informazione che ritengono le malattie degli animali, rispetto agli operatori che si occupano della prevenzione della diffusione delle stesse, come elementi a sé stanti.
La sanità pubblica è una sola, vale per tutti e solo lavorando tutti insieme possiamo farcela.»
La conoscenza e l’informazione sono gli strumenti più utili a mantenere il corretto equilibrio tra l’esagerazione e lo sterile scetticismo, ringraziamo il dott. Bruno per averci dato elementi di riflessione serena.
Francesco Paciello