6 APRILE 2009 – 6 APRILE 2020: IL RICORDO A UNDICI ANNI DAL SISMA DELL’AQUILA
L’AQUILA – Non era necessario scrivere altro, perché è stato già detto tutto su questa notte di undici anni fa, sul Prima e sul Dopo il terremoto che il 6 Aprile del 2009 ha devastato L’Aquila e l’Abruzzo interno. Ho dormito male, questa notte, sarà capitato a molti di quelli che hanno vissuto in prima persona le scosse insistenti e sempre crescenti in numero e intensità fino alle ore 3 e 32, nei 23 secondi della terribile scossa di quella notte ancora troppo fredda per essere primavera. Magari, rispetto ad allora, oggi non c’è più tutta questa insonnia come i primi tempi in cui bastava chiudere gli occhi e le pareti riprendevano a girare, il letto a muoversi pure se non era vero. Si è tornati a sorridere, a distanza di anni, non sempre, non del tutto ma si sorride.
Una cena con gli amici, un aperitivo, un cinema. Il cinema c’è di nuovo da tempo.
Il tempo è capace di aggiustare quasi tutte le ferite. Renderle cicatrici sbiadite che fanno male ogni tanto.
Anche tanti bar, pub, locali dove avvinazzarsi, ci sono da tempo all’Aquila. Ci si ubriaca tra un puntello e l’altro, una impalcatura, una casa sfondata e una che sa di pittura fresca. Forse viene meglio la sbornia se si hanno davanti agli occhi i resti di quello che era una città normale. Poi ci sono i palazzi antichi restaurati. Ne sono sempre di più. Belli, puliti, lisci. Meravigliosi con le loro volute, gli stucchi, le scalinate a incorniciare cortili nascosti e archi e volte e affreschi. Non hanno purtroppo quell’aria di vissuto propria di una città che vive e che ricorda agli occhi di chi ne percorre le strade, la sua storia, le tante storie che a quei muri si sono appoggiate, che dentro quelle case e quei palazzi hanno trascorso momenti belli e brutti. Le case nuove, i palazzi, le Chiese restaurate, ogni giorno un pezzettino in più in quell’oceano di cose da sistemare. Forse quando tutto sarà nuovo e pulito, si deciderà a tornare anche la vita. Che c’è eh, per carità. Ma secondo me non è troppo convinta. Nemmeno lei anche se ci prova con grande impegno e mostra ottimi progressi ovunque.
Ci sventola però davanti agli occhi i ricordi di 309 persone che quella notte una seconda possibilità non l’hanno avuta. Allora, in questo tempo che ci è concesso per riflettere e fermarci, obbligati a rallentare il passo da una pandemia che ci tiene in scacco, potremmo riscoprire la gratitudine per ciò che abbiamo. Potremmo imparare a non sprecare un solo attimo a lamentarci della felicità inseguita e mai raggiunta e capire che essa è nelle piccole cose insignificanti, trascurate per il nuovo modello di smartphone che se piove e sei senza ombrello ti bagni lo stesso.
Undici anni.
Per me erano troppi pure 23 secondi.
Eleonora Marchini