Il Diario di un marittimo bloccato a bordo durante la Pandemia
È il giorno 8 Marzo, tutto quasi pronto per iniziare una stupenda crociera di ben 28 giorni, curcumnavigazione dell’Australia con partenza da Brisbane verso sud e poi Ovest.
Tutto regolare, dicono, nonostante le notizie del Coronavirus, che dalla Cina pian piano migra verso l’Italia, e successivamente quelle del lockdown del nord Italia. Con aria serena passeggio sui ponti aperti, come sono solito fare prima di ogni partenza, vista la mia smania di sicurezza e responsabilità che il mio ruolo da ufficiale richiede; intravedo nelle facce di quelle persone pronte a salpare per una nuova esperienza, la felicita e la spensieratezza, lo spirito giusto per un crocierista insomma.
Ore 16:00 Local Time, ecco l’annuncio del comandante per avvisare i passeggeri che la nave ha completato le procedure d’imbarco e di carico di provviste e fuel (Combustibile), ed è pronta a salpare per Sydney , primo porto di attracco. Tutto procede bene, da manuale; ormai per me da 5 mesi a bordo è diventato tutto molto semplice, la mia mente è già proiettata ai miei progetti futuri, al prossimo esame per salire di grado per la carriera, alla mia vita sentimentale. Mancano pochi giorni alla data di sbarco, prevista per il 12 Marzo dal porto di Melbourne, una splendida città situata nello stato di Victoria, Sud-Est Australia.
La mattina del 11 Marzo, mentre seguo la navigazione nelle mie ore di guardia tra le 8 e mezzogiorno, il comandante in seconda (Staff Captain) viene sul ponte comunicandoci le difficolta di trasporto verso casa che i nostri colleghi, quelli che hanno appena terminato il loro contratto di lavoro, stanno affrontando per la ormai nota e progressiva piaga del coronavirus. Date le difficoltà evidenti, la compagnia chiede agli ufficiali presenti a bordo di valutare un’ipotetica estensione di contartto con data da definirsi. Senza ombra di dubbio un mio primo pensiero si rivolge alla mia famiglia e soprattutto a mia nipote di appena un anno e mezzo che non vedo da quel lontano 7 ottobre 2019. A volte nella vita arriva quel momento in cui per amore della famiglia e per i futuri obiettivi personali, bisogna prendere una decisione, nonostante possa essere molto difficile per il peso evidente della distanza da casa e per periodi di tempo così lunghi di assenza dai propri affetti. Per me quel momento è proprio adesso. Ebbene si, il pomeriggio stesso, dopo essermi consultato attentamente con una delle poche persone importanti nella mia vita, nonché maestro stesso di vita (Mio Padre), mi reco nell’ufficio del comandante per confermare la mia adesione all’estensione di contratto.
Dopo quel giorno tutto sembra continuare comunque ad andare per il meglio. A bordo tra i passeggeri c’è allegria e gioia, tra giochi pomeridiani di intrattenimento e spettacoli serali.
Il giorno 12 Marzo salpiamo da Melbourne per proseguire la nostra cociera verso Burnie (Tasmania), arrivo previsto il giorno dopo alle ore 7:00 del mattino. Nelle prime ore del mattino, mentre gli ufficiali di guardia iniziano a preparare le strumentazioni e il ponte di comando per l’arrivo, una chiamata importantissima devasta quel momento così tranquillo e rilassante al sorgere del sole. Un messaggio dall’ufficio centrale talmente importante, che i miei colleghi non possono far altro che chiamare immediatamente il comandante. Dopo circa un’ ora il Capitano giunge sul ponte di comando e con in viso lo sconforto di una persona che serve la compagnia da piu di 20 anni , chiede a tutti di prestare la massima attenzione all’annuncio importante che stava per trasmettere via public system (Vivavoce) a tutta la nave. Con un tono di voce acuto e nello stesso tempo preoccupato, annuncia in vivavoce a tutti i passeggeri ed equipaggio, l’annullamento immediato della crociera in corso e il cambio di programma per poter riportare i passeggeri in tutta sicurezza nel primo porto più vicino e con grandi possibilità di accesso. Era stata appena presa la decisione di fermare le operazioni crocieristiche per 60 giorni, per far fronte alla diffusione del Coronavirus. Da questo momento tutto inizia a cambiare; si trasforma l’umore delle persone e soprattutto quello dell’equipaggio, spaventato da un evento (come definito successivamente da un messaggio ricevuto dal presidente della compagnia) unprecedented (mai verificato precedentemente), una pausa di 60 giorni per far fronte alla situazione coronavirus dichiarata ormai Pandemia secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale Sanitaria). Giorni bui. Come annunciato dal comandante, ci dirigiamo verso il primo porto piu sicuro, Sydney. Arrivo previsto per il giorno 17 Marzo. Intanto l’Hotel Department lavora ininterrotamente per garantire voli e trasporti in piena sicurezza per i nostri passeggeri, purtroppo costretti alla ritirata e rinuncia di questa avventura.
Il giorno 17 Marzo, come da programma, la nave ormeggia nel porto di Sydney e inizia le procedure di sbarco di tutti i passeggeri. Ad aspettarli al ponte di sbarco con tanto di cartelloni e divise bianche, ci sono gli ufficiali e il resto dell’equipaggio in presenza del comandante; tutti sorridenti e grati ai nostri passeggeri, nonostante il timore celato di tutti di non avere altra possibilità che lasciare il porto quanto prima con solo l’equipaggio a bordo. Da quella Partenza trascorriamo giornate, settimane alla deriva a circa 30 miglia dal porto di Sydney in attesa di nuovi ordini dalla compagnia. Nel frattempo per tenere l’equipaggio impegnato e soprattutto per trarre profitto da questa pausa forzata, tutti i capi dipartimento iniziano un programma di manutenzione approfondito sia per la parte interna che esterna della nave. La preoccupazione piu grande per il comandante, in quel delicato momento, era tenere quanto piu positivo il morale di tutti noi a bordo. Per questo decide di organizzare insieme al Human resource manager, sessioni di zumba, yoga e feste. Dopo circa due settimane senza nuove disposizioni, le provviste di bordo, come tutti si aspettavano ovviamente, inziano a diminuire e la nave ha bisogno di caricare la propria cambusa e necessita di fuel per eventuali spostamenti.
Il giorno 27 marzo, dopo svariati tentativi di entrare nel porto di Sydney una seconda volta, ma ovviamente senza successo, riceviamo l’ordine di spostarci verso Brisbane, a nord di Sydney, nel cui porto, secondo le nuove direttive del governo e dello stato del Queensland, dovremmo riuscire ad entrare. Dopo altri due giorni di navigazione a bassa velocità per non consumare tutto il fuel rimasto nelle casse, anche qui il governo Australiano ci blocca all’entrata del porto. È necessaria questa volta la verifica permesso, rispetto alle ormai nuove direttive per le navi da crociera, che ogni giorno vengono emanate per contenere la catastrofe pandemica che si divulga sempre di più in giro per il mondo. Il Capitano, furioso e preoccupato per il proprio equipaggio, lavora giorno e notte in contatto con l’agenzia portuale e I grandi capi dell’ufficio dall’altra parte del mondo, per risolvere il problema. Riesce finalmente ad avere il permesso di una Barge (Zattera galleggiante adibita al trasporto di cose) con le provviste da trasportare sotto bordo. Vista la sua solita premura nell’ aggiornare il suo equipaggio sempre quanto prima possibile, si dirige al Public Address System e divulga a tutti la buona notizia.
Dopo aver risolto il problema impellente delle provviste e dopo che circa 10 giorni sono trascorsi, finalmente riceviamo il permesso di entrare in porto, ma solo per fare ulteriori provviste e carico di fuel. Fatto ciò, bisogna lasciare definitivamente le acque australiane, come annunciato dal Governo Australiano secondo una direttiva eccezzionale. Altro caos, Nazioni che chiudono le proprie frontiere, i porti e gli aeroporti, e per non finire i media australiani accaniti contro le navi da crociera. Da quel momento l’inferno per tutti, senza un posto dove andare, alla deriva, lontano dalle acque australiane e senza ordini dalla compagnia. È un periodo buio per tutti, anche per i colleghi dell’ufficio a terra, occupati nella gestione di 18 navi con circa 1000 membri di equipaggio a bordo di ciascuna. Trascorrono altri due giorni fino ad un nuovo ipotetico cambio di programma, quello di portare tutto l’equipaggio a casa, utilizzando l’unico mezzo sicuro per noi, la nostra amata nave. Ovviamente per maggioranza di numero di nazionalità, una prima ipotesi sarebbe quella di dirigerci nelle Filippine, oppure in Indonesia. A bordo siamo circa 42 nazionalità diverse, ma il numero più elevato a bordo è quello di Filippini ed Indonesiani, quasi tutti a bordo con mansioni di lava piatti, camerieri o house keeper.
Il Giorno 6 Aprile, dopo attente discussioni e verifiche, la compagnia ci invia il piano di rimpatrio, con destinazione Manila (Filippine) previsto per il giorno 17 aprile. Da quel preciso giorno, trascorriamo circa due settimane con routine di manutenzione e divertimento, per tenere sempre alto e forte il morale di tutti noi a bordo. Nel volto di circa 300 Filippini non c’è altro che gioia, in quelli di tanti altri la speranza per un eventuale aggiornamento sulle procedure di rimpatrio. Durante le due settimane di traversata dall’Australia a Manila, oltre a ricevere giorno dopo giorno aggiornamenti sulla diffusione della pandemia a livello globale, la compagnia annuncia la riduzione del personale di bordo al minimo consentito per legge e il suo forte impegno nel rimpatriare tutti quelli che non ne avrebbero fatto parte. Ovviamente nulla di inaspettato; per far fronte alle tante perdite di una pausa delle crociere prolungata ormai fino al 30 giugno, non c’è altro da fare che ridurre il personale e diminuire ulteriori spese.
Il Giorno 17 Aprile, arriviamo fuori alle coste delle Filippine, pronti per entrare in porto ma soprattutto contenti di aver quasi rimpatriato circa 300 colleghi. Quasi si, perche durante la mattinata una mail dal Governo delle Filippine annuncia la rottura dell’accordo intrapreso con la nostra compagnia. Questo ovviamente innesca un meccanismo di nervosismo e tensione tra tutti noi. I Motivi di tutto quello che si stava verificando erano tanti, ma il Capitano non molla e vuole a tutti i costi portare a termine positivamente il suo viaggio di rimpatrio. Proprio per questo cerca di chiamare subito l’agenzia del porto, per capire le dinamiche della situazione e i motivi del cambiamento improvviso di disponibilità. Si parla di quarantena. Motivo inaccettabile, dopo aver trascorso circa 30 giorni senza toccare terra, e con l’evidente certezza del buono stato di salute di tutti i circa 900 membri dell’equipaggio a bordo.
Oggi 18 Aprile, siamo ancora qui a circa 30 miglia dal porto di Manila, in attesa di una conferma per capire cosa fare e come muoverci.
Purtroppo spesso l’essere umano non ha compassione per i suoi simili; in momenti del genere invece di aiutarci reciprocamente, ci sono villani, persone senza buon senso ed empatia, che cercano di approfittare di situazioni spiacevoli come questa, persone che speculano sulle difficoltà aumentando i costi di materie prime e di beni di prima necessità. Quello che stiamo vivendo sembra avere poco a che fare con la cautela e la prevenzione, ma troppo con la speculazione.
È una situazione inaccettabile e senza precedenti. Ma noi non molliamo e non molleremo mai; il marittimo è una categoria poco riconosciuta in alcuni paesi, nonostante i grandi progressi mondiali nel campo dello shipping. Il marittimo è abituato ai cambiamenti, dal momento in cui parte da casa per l’inizio di un nuovo imbarco (il distacco della famiglia), è abituato ad affrontare la novità del primo giorno a bordo e tutti quelli a seguire, è abituato al cambio di luogo, orario e alle situazioni ambientali avverse che spesso si presentano. Noi restiamo ancora qui, con la speranza di un ritorno celere in patria dai nostri cari, nelle nostre case.
Nicola Arcella