Il “Cascà” di Carloforte- un piatto che parla di integrazione e ospitalità

IL Cibo e il vino. Il “Cascà” di Carloforte, simbolo di identità culturale e integrazione.

Cucina, una parola che può contenerne tante altre: storia, cultura, tradizione. Alcuni piatti poi fungono da collante tra i popoli, è il caso del “cascà” o “cus cus tabarchino”. 

Ma cosa è il “Cascà di Carloforte”?

Per ben spiegarlo dobbiamo partire dalla storia dei Carlofortini, facenti parte di quella comunità “allargata” nata dalle vicissitudini dell’Epopea Tabarchina.

Gente che ha dovuto integrarsi, e interagire, con più culture. Liguri che sono partiti da Pegli per Tabarca in Tunisia, nel ‘500, per pescare il corallo. Da lì ancora un “trasferimento” questa volta in terra sarda nel 1738, poi ancora in Tunisia , come prigionieri, dal 1798 al 1803. Per ritornare appunto, dopo cinque anni di schiavitù, a Carloforte, nell’ Isola di San Pietro a Sud Ovest della Sardegna.

Genova Pegli (GE)
Genova Pegli (GE)

E’ durante il loro soggiorno in terra africana che i Carlofortini vengono in contatto con il piatto in questione.

Della ricetta del Nord Africa il “Cascà tabarchino” è una variante che prevede una preparazione e degli ingredienti diversi, almeno in parte, da quella originale. Un tempo il cascà era un piatto povero composto essenzialmente da semola lavorata, cavolo cappuccio, cavolfiore e ceci, e non prevedeva l’uso della carne (a differenza della ricetta africana, che lo accosta con quella di montone).

Tabarca (Tunisa)  ai tempi della diaspora.
Tabarca (Tunisa)  ai tempi della diaspora.

Con il passare degli anni la ricetta si è evoluta includendo verdure di stagione e suino, in particolare la cotica di maiale. 

Il Cus Cus tabarchino, o meglio il “Cascà” come è chiamato dalla popolazione locale, è a buon ragione una ricetta semplice ma ricca di storia e cultura. Ci racconta la capacità di adattamento, e integrazione di un popolo, la sua forza di sopravvivere ai disagi e alle privazioni. Ci dice anche di come si possa portare per il mondo tutta una storia, attraverso una ricetta di cucina. Con il passar degli anni è diventato il piatto delle feste più importanti, in particolari quelle patronali, e una pietanza da far assaggiare agli ospiti venuti da fuori, simbolo di accoglienza e convivialità.

Numerose le ricette del cascà che si trovano sui libri e in rete, noi abbiamo preferito proporvi quella del libro, sulle ricette della cucina tabarchina, scritto dai proff. Nino Simeone e Norino Strina, due cultori, purtroppo scomparsi, della storia e tradizioni tabarchine: U paize u mangie… – Il gastronomo tabarchino (1991)

Carloforte – Isola di San Pietro (SU)

Si è scelto di riportare il testo originale della ricetta, come pubblicata nel libro, dove al posto di “Cascà “si trova scritto “Cashcà”, ciò è dovuto al fatto che solo a partire dal 2005 la “lingua tabarchina” scritta si è dotata di regole grammaticali che ne uniformano l’uso.

Il cashcà

 “Il cashcà è un piatto tipico della cucina tabarkina, variante del più noto “cuscus”, pietanza diffusa in tutta l’Africa mediterranea.

La base di questo piatto è la semola cotta a vapore, condita poi con molte verdure che vengono preparate a parte.

Per prima cosa è necessario inumidire la semola con acqua e olio, in modo tale che i vari granelli assorbano il liquido senza impastarsi tra di loro. 

Eseguita questa preparazione, si passa alla cottura vera e propria.

Si sovrappone, ad una pentola contenente all’incirca 4 litri d’acqua, la cuscussiera, che è simile ad un colapasta di terracotta, nella quale viene posta la semola ed alcuni cubetti di cotica di maiale.
Il tutto si fa cuocere per circa 3 ore.

Nel frattempo, si passa alla preparazione delle verdure, che costituiscono il condimento della semola.
Il cavolo tagliato a listarelle si fa rosolare col cavolfiore, la cipolla e la carota; i piselli con favette e carciofi vanno trifolati al tegame e a fine cottura, profumati con della maggiorana; i ceci, messi la sera prima in ammollo, vanno lessati con alcuni spicchi d’aglio, mentre le melanzane, tagliate a “dado”, si friggono.

Quando infine la semola è cotta, la si condisce con le verdure ancora calde e la si profuma con della saporita.

Il cashcà va servito in tavola tiepido, per cui dopo il condimento della semola, la pietanza dovrà riposare per alcune ore.

*Da bere? Quello che volete, ma soprattutto acqua bella fresca. (*Oltre che al simpatico suggerimento, degli autori del ricettario, consigliamo di accostare al piatto un vino bianco, meglio se fruttato e di buon corpo. Nda)

Antonello Rivano

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