tradizioni culinarie del corpus domini

Il cibo e il vino fra storie, pensieri e parole. Il Latteruolo, tradizione gastronomica del Corpus Domini.

Le tradizioni gastronomiche legate ad avvenimenti religiosi sono spesso incentrate sull’adozione di prodotti semplici e fragranti della cultura contadina che ricordano i sapori genuini di un tempo. 

Le ricette della tradizione riportano alla memoria abitudini ed usanze del passato piacevoli da rinnovare come nel caso del “latteruolo” (chiamato anche “lattarolo” o “lattacciolo” od ancora “casadello romagnolo”) che, originario delle Marche e dell’Emilia Romagna, si preparava a ridosso della festività del Corpus Domini.

Il dolce tipico della tradizione contadina veniva offerto al padrone del fondo mezzadrile e consisteva nella preparazione di una crema odorosa e dolce (perché si utilizzavano generalmente cannella e vaniglia o noce moscata mischiate a del buon latte appena munto) che ai tempi d’oggi confonderemmo con una creme caramel.

Ma con una particolarità: la crema in questione veniva adagiata e cotta in un “contenitore” di pasta matta. Una teglia, quindi, “biodegradabile” diremmo oggi e che andava mangiata Un dolce (che prendeva anche il nome di “coppo”) antichissimo, risalente al 1500, che compare anche nella tradizione culinaria toscana e che somiglia vagamente ai francesi “cannelès de Bordeaux” ma che venivano preparati con un procedimento più veloce rispetto ai dolcetti d’oltralpe.

Il lattaiolo cuoceva lentamente con un soffio di fuoco. Il fuoco era “sotto e sopra” nel senso che, chiuso in un tegame con un coperchio, era ricoperto di brace. Lo stesso tegame era posto al fuoco lento su un treppiedi. Nel 1800, ma anche nei primi anni del novecento, il dolce che ai tempi d’oggi è diventato un dessert da gustare a fine pasto era considerato un “levafame” ossia una pietanza che le massaie dell’epoca preparavano con poche risorse a disposizione, anche in caso di scarsezza di altre provviste, ed era accompagnato da pane ed una tazza d’orzo.

L’aggiunta di zucchero, abitudine che avviene solamente nel secolo scorso da a questa pietanza un giusto e meritato collocamento tra le delizie della nostra terra Secondo diversi racconti che tramandavano i contadini, il lattaiolo veniva anche preparato con siero di latte che avanzava dalla produzione del pecorino e veniva offerto ai preti dopo la messa del Corpus Domini e regalato alle donne subito dopo il parto come ricostituente e buon auspicio per il nascituro perché potesse mettere al più presto i denti “da latte”. Esiste ancora una versione nobile del lattaiolo, in uso nel periodo rinascimentale, in cui alla ricetta tradizionale venivano aggiunte più uova e caramello alle mandorle. Il “millefleur” era destinato a palati più chic che ben apprezzavano il profumo alla scorza d’arancio accompagnato dalla degustazione di un bicchierino di Vin Santo.

La ricetta

Rispettando dunque la tradizione, per chi volesse cimentarsi nella preparazione del “latteruolo” o “lattaiolo” occorrerà appunto la pasta matta (con 200 gr di farina OO, 100 gr di acqua tiepida e1 gr di sale) e per il ripieno un litro di latte intero con cannella o vaniglia che dovrà essere bollito e poi intiepidito per essere aggiunto a 4 tuorli d’uovo, 2 uova intere e 120 gr di zucchero. Il composto verrà versato sulla pasta matta che ricoprirà una tortiera di 22 centimetri. Infornate a 160 gradi per 80 minuti. Il composto risulterà liquido quindi va cotto fino alla doratura quando diverrà cremoso e compatto.

Silvia De Cristofaro

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