Le tracce nascoste: il sentiero della cultura e della politica
Prima di addentrarmi nei meandri – peraltro già complessi – del tema cultura, mi sia permessa una osservazione sulla nostra rassegna letteraria, Libri Corsari. Un mio amico, un po’ di tempo fa, mi chiese cosa pensassi di alcuni autori e dei loro libri. Desiderava una descrizione sommaria, ma io gli dissi come ciò non fosse possibile. La lettura, o la letteratura se volete, è un qualcosa di talmente intimo e personale, che non mi pare possibile descriverne le sensazioni e le emozioni. Potei solo dirgli che anche i libri letti non capitano per caso in un certo periodo o in un certo momento della propria vita. Compresi quelli che, eventualmente, scrivi. Fu una discussione ripresa tante volte e ogni volta gli ripetevo la stessa cosa: ogni libro, in qualche modo, ti modifica la vita. L’unica cosa che sentii di dirgli fu che i miei due autori preferiti erano molto diversi tra loro e quindi leggerli per me è stato essenziale. L’onirico e il realista, li definirei così. Il primo, probabilmente, mi ha tracciato l’anima. Il secondo mi ha aiutato a razionalizzarla, in maniera straordinaria e con una umanità pazzesca. E quindi buona inquietudine, a prescindere…
La cultura. Solo semplici osservazioni, come ovvio che sia. Considerate il tutto un, seppur minimo, contributo alla discussione e al percorso che stiamo portando avanti, giorno dopo giorno, in maniera esemplare e costruttiva. Ritengo innanzitutto che, per essere promotori culturali oggi, debba essere necessario sentirsi meno “ordinari”. Mi spiego meglio. Come pensiamo di voler e poter valorizzare coloro che sono in qualche modo “costretti” a esprimersi, a realizzarsi e a costruire fuori cinta? A oggi non vedo idee che possano, in qualche modo, trasformare un cambio di tendenza a breve ma purtroppo non vedo neanche idee che possano dare l’impressione della costruzione in prospettiva. Lo so, è complicato e difficile. Ed è proprio per questo che bisogna sforzarsi di essere meno ordinari in ciò che proponiamo, nelle nostre città, dormienti o meno, non ci è concesso questo. Oserei affermare che vi è un’esigenza di indispensabilità di idee coraggiose. Osare. Avere un’idea della cultura che sia produttiva, che possa rendere liberi, e senza pregiudizi praticarla. Avere quelle che Fachinelli chiamava “le prospettive impensate” e cioè convincersi che “l’insubordinazione, la rottura pratica delle idee imposte fosse il cuore di ogni politica”. Prendersi cura, in qualche modo, di aprire le menti. Dobbiamo, come scrivevo prima, osare.
Cominciamo, metaforicamente, a immaginare due binari: sul primo corrono i desideri, sull’altro i sogni. I desideri li consideriamo più concreti, realizzabili, vicini. I sogni sono altro, l’immaginario che tutto possa essere e diventare, quelli che hanno bisogno di più tempo e che però ti trasmettono adrenalina, ti aiutano a vivere meglio perché ti danno una prospettiva, finalmente vedi lontano. Dobbiamo insomma pensare alla costruzione delle nostre città andando “oltre”. Pensare al recupero di più spazi possibili, “censire” le proprietà comunali per svolgere le attività più disparate, dare agevolazioni affinché si possano produrre idee, spingere e favorire la crescita di un associazionismo il più diffuso e libero possibile, evitare che altre “generazioni” possano emigrare e far sì che finalmente le “menti” escano dalla clandestinità a cui sono costrette. E poi i sogni, il vedere lontano. Pensare alla costruzione di un teatro, di un palazzetto dello sport, a centri di aggregazione, a iniziative che possano essere punto di riferimento e durare negli anni.
Parliamone, se volete. Ma adesso pensate, desiderando e sognando, senza timori.
Mimmo Oliva