Questa strana estate calda. Io speriamo che me la cavo
Se non fosse per le mascherine che indossiamo, sembrerebbe un’estate come le altre: confusione, corpi seminudi, locali pieni, sì esattamente come ogni altra estate.
Solo che non è un’estate “normale”, anche se molti, forse troppi, fanno finta che sia così.
E’ un’estate che viene dopo una primavera in cui abbiamo conosciuta e fatta nostra l’ennesima parola straniera: lockdown, letteralmente “confinamento”. Confinati in casa, mura domestiche che dopo un po’ si sono trasformate in prigioni dorate, abbiamo imparato che in casa si può studiare, fare lezione, lavorare. Molti di noi hanno realizzato che, in fondo, non era poi così male essere “confinati” specie se pensavamo a quelli che, in passato, il confinamento, quello vero, lo hanno realmente subito, vissuto e magari di confinamento sono morti.
E’ una strana estate in cui abbiamo scoperto, o riscoperto, altre parole, questa volta nostrane, come “negazionismo”. “Negazionismo” è un termine usato relativamente a avvenimenti storici che hanno sconvolto l’umanità, ma se lo analizziamo nel suo significato possiamo senz’altro dire che lo si può applicare anche per quanto riguarda la pandemia da “Covid19”, e mi rendo conto che dopo 1.018 parole nomino il nostro “nemico numero uno” per la prima volta.
Andiamo a vedere la definizione che la Treccani di “negazionismo”: << Termine con cui viene indicata una corrente antistorica e antiscientifica del revisionismo la quale, attraverso l’uso spregiudicato e ideologizzato di uno scetticismo storiografico portato all’estremo, non si limita a reinterpretare determinati fenomeni della storia contemporanea, ma (omissis) si spinge fino a negarne l’esistenza>>.
Possiamo dire allora che, anche di fronte a dati certi e a carattere “globale”, relativi a una pandemia ci possano essere dei negazionisti? Purtroppo la risposta è sì; ne incontriamo tutti i giorni, magari sono quelli che si ostinano a non mettersi la mascherina neanche nei posti chiusi, o quelli che vogliono a ogni costo fare la Movida, oppure i nostri vicini di ombrellone, che, a ogni costo, si vogliono insinuare tra noi e quelli che, ligi alle norme, hanno rispettato le distanze di sicurezza.
Perché se non li chiamiamo “negazionisti”, come altro potremmo definirli, appellarli? So che molti di voi hanno già risposte con termini alternativi, ma limitiamoci a usare la nostra fantasia per immaginarli.
E’ una ben strana estate, che tutti abbiamo immaginato diversa, perché diversi pensavamo di uscire da una primavera grigia e piena di timori. Pensavamo di poter essere migliori, che finalmente avremmo rispettato l’ambiente, abbiamo immaginato spiagge pulite, libere dalle cicche di sigaretta e dalla plastica. Abbiamo invece scoperto che nulla è cambiato, anzi alle cicche e alla plastica si sono aggiunte anche le mascherine e i guanti monouso. Forse la natura, alla fine del “confinamento” ha pensato: credevo di essermi liberata dal virus “Uomo”, che fosse scomparso, invece è ancora qua a per farmi ammalare e morire. Molto probabilmente sarà anche quello che penseremo noi tra un paio di mesi, se il “Covid-19” si comporterà come la “Spagnola del 1918”, perché noi, pensando di essere fuori pericolo, ci stiamo comportando esattamente come allora, dimostrando ancora una volta di non aver imparato nulla dalla storia.
Sembrerebbe una estate come le altre, una cada estate, in cui si si riposa e ci si diverte, chi può, in attesa che riaprono scuole e campionati di calcio, con date e modalità che da anni sono, almeno per la maggioranza, punti imprescindibili di riferimento. Ci accorgiamo poi che non è così, perché molte delle nostre certezze sono venute meno, perché nonostante facciamo finta che “tutto va ben madama la marchesa…tutto va ben”, in molte nazioni si ritorna alle chiusure, al confinamento, al “lockdown”. Intanto ci sono altre parole che girano intorno, ingigantiscono o sminuiscono le cose, le distorcono, confondono e farciscono di false certezze le menti degli analfabeti funzionali: Fake, Bufale. Sono anche queste dei virus, si insinuano nella nostra società e camminano sulle gambe digitali dei social, contaminano, infettano e rischiano di fare più vittime del Covid-19 stesso. Cosi come i pareri dei tanti che si scoprono virologhi, magari gli stessi che poco tempo fa pensavano di essere allenatori e selezionatori di calcio, o, ancor peggio, politologi. Di fronte a tutto ciò, a chi scrive, non viene altro che pensare a un titolo di un libro del 1990, di Marcello D’orta, “Io speriamo che me la cavo”.
Antonello Rivano