Luciano De Crescenzo, oltre il coccodrillo spicciolo.
La morte nasona ha portato via una parte della nostra più candida ironia. L’ha frantumata e poi dispersa, ci ha tolto il salvagente che teneva a galla una percezione del essere napoletano che, ahi noi, s’era persa ancor prima del suo discreto passaggio. Ha reciso un cordone che, a mala pena, teneva ancora uniti consapevolezza dell’essere e speranza del divenire: un sogno infranto sulle scogliere del dubbio se appartenere alla categoria degli uomini di libertà o d’amore. Alto, biondo ed occhi azzurri (in antitesi con lo stereotipo terrone che ci vuole brevilinei, mori e un po’ arroganti), Luciano De Crescenzo aveva aperto la via ad una speranza, costruita sui racconti paradossali di personaggi universalmente improbabili e quindi veri figli di Napoli. Chi respira la città sa bene che il folkloristico vice sostituto portiere è solo una metafora, così come l’amico della signora rinascente o Rachelina in continuo conflitto con la lavatrice elevata a essere pensante e dispettoso. Quanto avesse ragione De Crescenzo sullo schieramento presocratico del napoletano tipo, non ci è dato di sapere. E anche i contenuti del sentimento del “Dubbio” mostrano non poche lacune sulla reale percezione del neo-napoletano contemporaneo. De Crescenzo ha cercato di sedimentare la sua analisi benevola nel tentativo di sviluppare un ragionamento filosofico, spicciolo nel modello ma efficace nella divulgazione dei contenuti. Migliaia di copie vendute ovunque tranne che a Napoli, dove invece si è preferita molto di più la trasposizione cinematografica (più semplice da consumare) che ha lasciato un segno profondo nel ricordo popolare, soprattutto grazie al tormentone del cavalluccio rosso di Riccardo Pazzaglia (coautore spesso trascurato) e nelle rime enfatiche di Luigino il poeta.
Mi spiace dirlo ma quello che non è passato è l’attacco spietato e certosino al luogo comune, fortemente cercato e voluto, ma nella pratica miseramente fallito. Luciano De Crescenzo ha pubblicato 50 volumi ma chi si ricorda del fenomenale “Zio cardellino”? E’ questa l’opera più pregna dei valori di libertà e autodeterminazione, un inno alla demolizione della consuetudine dei ruoli. De Crescenzo, senza essere blasfemi, ha iconografizzato la napoletanità oltre le miserie umane narrate da Eduardo, le ha elevate a confronto, banalizzando sì il già banale ma nutrendo con la logica l’elaborazione del vissuto.
Grazie Luciano.
Francesco Paciello