Malcontento nazional-popolare, fra percezione e realtà
Il 2 giugno le Frecce Tricolore attraversano i cieli della Capitale sorvolando la parata militare in Via dei Fori Imperiali, dove si celebrano i 70 anni della Repubblica. Prima, seconda, delle banane… Tanti gli attributi affibbiati nella storia alla nostra ormai anziana forma di governo. Il folklore che esplode, facendo sussultare l’Altare della Patria, è versione istituzionale di quello che animerà poi le “solenni adunanze” di tifosi che seguiranno la nazionale di calcio impegnata negli Europei parigini. “Già… noi non siamo mica come i nostri cugini d’Oltralpe che manifestano per il tempo libero e rispondono duramente a una riforma impopolare, noi siamo italiani solo in vista dei tornei calcistici e quando è rosso il calendario”. Peccato che molti, di quelli che così proferiscono, si accingano a trascorre il corrente mese con la testa nel pallone, alimentandosi a birra e patatine. Questo è il problema generalmente diffuso: si preferisce l’indignazione pressappochista all’azione, rifiutando categoricamente ogni tentativo di un intervento marginalmente migliorativo. La disapprovazione non è quasi mai cosciente, spesso costruire solide basi che la sostengano è troppo oneroso e quindi, come sempre, “le contromisure si limitavano all’invettiva”. Perciò, tu, giovane universitario che si ritaglia il tempo per un bagno tra un esame e l’altro, sii pronto a imbatterti, calpestando il bagnasciuga, in ex bancari pensionati, sedicenti ex sessantottini che ti puntano l’indice contro, esortando sempre e solo te a prendere parte a una fantomatica rivoluzione “più o meno” violenta; quanto a loro, sono impegnati a cercare una raccomandazione per i loro figli, della tua stessa età. In verità, prescindendo dai Masaniello del terzo millennio, il malessere generalizzato è comunque spiegabile: L’indice di percezione della corruzione intorno al 90 per cento (dato più alto tra i Paesi sviluppati secondo l’OCSE), l’analfabetismo funzionale che tocca la soglia del 47%, la crescente emigrazione giovanile sono agenti patogeni, quanto meno allarmi inascoltati… Il contesto induce a volgere lo sguardo altrove, cercando di intravedere l’eden, o almeno uno straccio di posto migliore. Spesso la meta si trova oltre la Manica: sono tanti gli italiani che approdano in Gran Bretagna alla ricerca di opportunità lavorative o universitarie. Forse ancora per poco, attendendo l’esito del Brexit…
Il recente intervento di Roberto Saviano al Parlamento Britannico su invito del laburista David Lammy, però, riconduce alla vetusta massima: “tutto il mondo è paese”. Lo scrittore, infatti, ha evocato un documento pubblicato da “Transparency Uk” a marzo del 2015 che definiva il mercato immobiliare inglese come “rifugio di capitali segreti e soldi sporchi”, senza però alcun esplicito riferimento alle organizzazioni criminali. Considerati i 74 miliardi di euro riciclati complessivamente nel Regno Unito, non sarebbe peregrino il rimando concettuale a una grande Corleone – Italia – di 50 anni fa, in cui si negava l’esistenza stessa della mafia. Si vuole giungere a porre delle questioni di non facile soluzione: «Qual è il confine tra percezione ed esistenza del malaffare? Quale delle due ha un’incidenza maggiore nelle nostre vite? Perché nel Regno Unito la corruzione – a quanto pare – c’è, non si vede, e sembra non turbare la vita dell’uomo comune, almeno non tanto quanto in Italia?». Certo, sarebbe improbo pretendere risposte dal pantofolaio pronto a scovare nella formazioni dell’Albania e dell’Islanda i nuovi acquisti per il prossimo fantacalcio, quindi desistiamo. Ci concediamo solo una riflessione: nonostante la imperversante sindrome da fanalino di coda, dovremmo imparare a repellere l’idea che la cura dei nostri problemi passi attraverso il proposito di una pedissequa imitazione altrui, che finisce per manifestarsi in un triste scimmiottamento esterofilo
Francesco Santoriello